#59. Oceani
La sinfonia oceanica in dieci movimenti dei Dirty Three, la colonna sonora de Le vele scarlatte e un violino che dà voce alle tragedie del mare. Con gli Accenti, arrivano le Onde di Simone Pazzano.
Ciao !
Quante opere d’arte, di ogni genere, sono ispirate al mare? Infinite. In vari modi, anche la musica è legata alle sue acque e alle creature, mitiche o reali, che le popolano (ricordi le canzoni delle megattere?); inoltre in letteratura il mare non è semplice scenografia, bensì un vero e proprio archetipo.
Il mare, questo specchio del cielo, è una promessa del desiderio. [...]
Il mare è ai confini del possibile. Lo guardiamo, lo osserviamo, lo scrutiamo come l’immortalità inscritta nelle leggende.
Terra di luce scintillante capace di far ballare i pittori incantati da una bellezza segreta, un mistero fattosi evidenza. Un’ossessione insondabile.Marocco, romanzo
di Tahar Ben Jelloun, traduzione di Cinzia Poli (Einaudi)
Nella mia piccola galassia, le persone e gli eventi più importanti hanno un legame con il mare. Storie, gesti, ricordi e metafore rivelano spesso una traccia marina, più o meno evidente, una rotta da seguire, pur nella tempesta.
Il Dispaccio di oggi è rivolto alle acque infinite, ai misteri insondabili, alla musica che prova a catturarne l’anima con un disco che compie tre lustri, la colonna sonora di un film, uno strumento musicale che trasforma la disperazione in speranza. Per concludere, con gli Accenti arriva la newsletter
, di .Le canzoni degli oceani dei Dirty Three
Alcuni giorni fa, un disco dedicato al mare ha di nuovo incrociato la mia rotta: nessuna parola, solo melodie in un’opera che, il prossimo marzo, celebra venticinque anni.
Registrato nelle sale dell’Electrical Audio di Chicago, con la produzione di Steve Albini, Ocean Songs è il quarto disco dei Dirty Three, un lavoro che, a posteriori, assume le sembianze di un sestante tanto nella loro discografia quanto nel panorama musicale di allora e di oggi.
I tre musicisti — con gli interventi a piano e armonium di David Grubbs, uno che ha suonato in gruppi come i Codeine — danno vita a un concept dedicato al mare, una sinfonia oceanica in dieci movimenti in cui la dinamica delle acque, i cromatismi del cielo, le tracce di viaggiatori e creature immaginarie prendono forma e vita attraverso le linee ritmiche e melodiche.
Da un lato, le voci strumentali dipingono la scenografia sonora: ecco quindi le carezze ai piatti di Jim White evocare lo sciabordio delle onde di The Restless Wave; dall’altro, incarnano il lirismo che pervade tutto il disco, come il canto degli arpeggi di Mick Turner in Sirena. Nessuna parola, nessun segno verbale umano solca l’atmosfera. La guida è il violino di Warren Ellis, limpido e senza distorsioni, canto di sirena e forza di marea.
Il disco è un vortice che rapisce, quiete che incanta; è abisso e respiro.
Nota a margine: la copertina, come per gli altri dischi dei Dirty Three, è disegnata da Mick Turner.
Sulle note de Le vele scarlatte
È il 1923 quando Aleksandr Grin vede pubblicato il suo romanzo Vele scarlatte, scritto diversi anni prima. Oggi, cento anni e alcuni adattamenti cinematografici dopo, la storia torna al cinema.
Il film di Pietro Marcello è ambientato in Normandia tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Il regista è lo stesso di un altro film storico, Martin Eden — ispirato anch’esso a un’opera letteraria, il libro omonimo di Jack London — ed è interessante notare come i due lungometraggi siano tanto diversi: Juliette, la protagonista de Le vele scarlatte, decide consapevolmente di non abbandonare le proprie radici. La sua vita scorre tra serenità e lotta nella piccola comunità familiare, una comunità di matriarche e streghe, in simbiosi con la natura. Fino a quando un aereo precipita nei pressi della vecchia casa di campagna. Non è sulla trama che vorrei concentrarmi però, non in questo momento.
Le musiche originali sono firmate da Gabriel Yared, già noto per colonne sonore di pellicole come L’amante, Il paziente inglese, Il talento di Mr. Ripley, Ritorno a Cold Mountain e Le vite degli altri.
Legata con un vincolo indissolubile alla protagonista, spirito libero, solitaria, appassionata di canto, la musica è il fulcro della scena: si impone come momento di aggregazione, assurge a simbolo di evasione onirica e romantica, sigilla a fuoco legami più stretti del sangue, diventando in particolare cifra distintiva di sorellanza. Infine, e non certo per importanza, le note sono il linguaggio di tradizioni che si tramandano di generazione in generazione. (Un piccolo compendio di antropologia musicale, insomma).
La storia del Violino del Mare
Questa è una storia di qualche tempo fa, ma in fondo le belle storie non hanno scadenza, no?
Poco fuori Milano, nel carcere di Opera, sorge un laboratorio di liuteria e falegnameria. Qui nasce il progetto Metamorfosi, un nome emblematico: la trasformazione riguarda la morte che diventa vita, la disperazione che rinasce speranza.
Tutto inizia quando la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti recupera il legno di dieci barconi, salpati dal Nordafrica e approdati a Lampedusa. Il fasciame, trasportato fino al laboratorio del carcere, si trasforma così nell’oggetto che, all’apparenza, sembra collocarsi a una distanza siderale da ogni elemento appena raccontato: uno strumento musicale. È il Violino del Mare.
Già diversi anni fa, nel laboratorio era stato intagliato il violino di Jannis Kounellis, che l’artista aveva provveduto a modificare, sostituendo alle corde del filo spinato, e trasformare in un’opera di denuncia. Il Violino del Mare però non è un semplice simbolo, anzi: suona, suona davvero e ha una voce lucente. Racchiude in sé dolore e coraggio, risuona nel mondo per testimoniare la forza della trasformazione. E ci ricorda quanto sia importante osservare, ricordare, sentire, restare essere umani vivi e presenti, in un mondo che si estende oltre schermi e tastiere, nella sua drammatica complessità.
Il Violino del Mare è la prima scintilla di un progetto più grande, come mi accenna con emozione Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Casa dello Spirito e delle Arti: una vera e propria Orchestra del Mare. Di questo però ti racconterò meglio a breve… e non vedo l’ora!
Nel frattempo, per approfondire una storia che trovo stupenda, ti suggerisco di visitare il sito della Fondazione.
Conversazioni con chi ascolta, osserva, immagina, scrive:
Simone Pazzano, Onde
La ricetta di una focaccia, irresistibile nella sua semplicità: ecco la prima chiacchierata con
. È un professionista ibrido, nato nel giornalismo e a suo agio nel mare digitale; Simone si muove spinto da curiosità e creatività, generoso nel condividere le sue scoperte con chi legge .Di cosa ti occupi?
Bella domanda! Ultimamente mi definisco un ibrido convinto. Nel senso che nasco come giornalista e per molto tempo ho scritto di viaggi, negli ultimi anni però ho iniziato a lavorare per un’agenzia di comunicazione in ambito food & beverage. Quindi ora alla parte giornalistica affianco anche quella di project manager e digital strategist per diversi brand. Mi piace perché così riesco a esprimere la mia creatività sia in ambito content marketing che giornalistico. E ho sviluppato competenze comunicative che vanno oltre la parola scritta.
Come nasce Onde?
La newsletter nasce come un’esigenza personale, ma che ho pensato potesse essere utile a tante altre persone. Un consiglio che ritorna spesso per chi vuole pubblicare un romanzo è: scrivi il libro che vorresti leggere. Ecco, io con la newsletter ho fatto la stessa cosa.
Ero un po’ stanco delle “ricette segrete” e della “fuffa” miracolosa che si trova spesso online quando si parla di marketing e comunicazione. Volevo parlare di questi temi in modo semplice e personale, perché credo che alla fine sia la cosa più utile e premiante per tutti.
Ho cominciato a inizio marzo 2020: pochi giorni e il mondo è cambiato per sempre, quindi il “caso” mi ha dato fin da subito diversi temi di riflessione. Diciamo che la newsletter si è evoluta, mese dopo mese, in parallelo con i grandi cambiamenti che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e che hanno influenzato molto la nostra comunicazione e il rapporto con il mondo del lavoro.
Come raccogli le risorse e i materiali che condividi?
Raccolgo gli spunti in molti modi e da diverse fonti, quindi nel tempo ho cercato di costruire un metodo che mi permettesse di mettere ordine tra tutti gli input e i contenuti di cui fruisco ogni giorno. Sono iscritto a decine di newsletter e ascolto tantissimi podcast, anche di temi molto diversi tra loro. E poi uso aggregatori di news e articoli, come Refind e Feedly, per scovare contenuti interessanti sui temi che seguo. Con Pocket raccolgo e conservo tutto ciò che voglio leggere in un secondo momento e con Notion archivio i contenuti e i link che poi inserirò nella newsletter. Cerco, leggo, archivio: ormai è diventata un’abitudine quotidiana che poi nel weekend prende forma e diventa Onde. Ma è soprattutto una dinamica positiva, che mi fa star bene, perché alimenta la mia curiosità e creatività.
In che modo coniughi l'approccio giornalistico con le dinamiche e le regole dell'universo digitale?
Credo che sotto certi aspetti si sposino molto bene.
Il giornalismo ti insegna che scrivi per il lettore e non devi mai dimenticartene. Allo stesso modo nel digital bisogna pensare sempre a essere utili al nostro pubblico.
Così come nell’universo dell’online è sempre più importante saper valutare le fonti dei contenuti che creiamo o che leggiamo, altro elemento tipico del giornalismo. Forse l’elemento che stride è la ricerca dei numeri: bisogna avere la forza e il coraggio di rinunciare alla corsa alle cosiddette vanity metrics (followers, like) e puntare sulla qualità.
Quali sono i libri che ti sentiresti di consigliare?
Nell’ultimo anno ho apprezzato molto Scrivere per guarire di Alessandra Perotti che racconta tutti i modi in cui la scrittura può farci stare bene e i diversi format da sperimentare: dalla lettera a noi stessi al diario, fino al racconto autobiografico. E poi consiglio sempre tutti i libri di Austin Kleon (Ruba come un artista, Semina come un artista e Tieni duro) che sono una grande fonte di ispirazione per chi vuole essere creativo. Brevi, scorrevoli e molto pratici.
Se la tua giornata avesse una colonna sonora, che musica sarebbe?
Ascolto musica di tutti i generi, però diciamo che potrebbe avere ritmi diversi a seconda del momento. Al mattino molto rock, perché ci vuole sempre la giusta spinta per cominciare la giornata: Rolling Stones, Led Zeppellin, AC/DC sono tra i miei gruppi preferiti. Nella seconda parte un po’ di rap italiano, perché trovo bella e stimolante la costruzione dei testi e i giochi di parole: ci sono esempi contemporanei che possono essere definiti a tutti gli effetti cantautori, Marracash in particolare. La sera: musica leggera italiana, quella che piace cantare a tutti noi.
Per il Dispaccio di oggi è tutto.
Prima di salutarti, vorrei lasciarti un consiglio di lettura: He was Tom Verlaine, un ricordo del musicista scomparso lo scorso sabato, scritto dalla sua amica Patti Smith. Dopo aver letto l’articolo, ho riascoltato uno dei miei dischi della vita: Marquee Moon dei Television, dove la chitarra di Verlaine dà vita a un universo, prima di quel momento, sconosciuto.
Se hai voglia di condividere le tue idee, di immergerti in un oceano sonoro, se hai domande, consigli, se non dormi, se pensi che parole e musica possano e debbano cambiare il mondo: scrivimi.
Grazie a Martina, perché dove c’è Warren Ellis c’è lei.
A presto,
Samantha