L’opera parla al popolo, ai poveri, agli esclusi: è Michela Murgia a ricordare questo dettaglio, troppo spesso trascurato, durante il suo intervento alla Prima della Scala, una Prima straordinaria, nei modi e nella percezione, di un paio di giorni fa. Spogliata delle consuetudini elitarie, l’opera — così come un balletto o un concerto di musica classica — è di tutti, poiché l’arte non è ortodossia, bensì intuizione, evoluzione, ideale.
Un nome su tutti? Lui, Giuseppe Verdi. Il compositore di quel Va’ pensiero che, proprio alla Scala, è diventato l’inno contro l’oppressore. Colui che, nel corso della vita, sfida chiunque, non si perde in chiacchiere e la paura di dare scandalo non la vede nemmeno lontana all’orizzonte. Interviene con invenzioni melodiche e drammaturgiche, disintegra i canoni, sferza il pubblico con la critica sociale: senza andare in ordine cronologico, per Il trovatore crea un dramma oscuro, con al centro la figura di una gitana; con Rigoletto ecco un gobbo protagonista, chi se ne importa di regole estetiche stantie; e che succede con La traviata? C’è una prostituta ad ammaliare il centro della scena. Per quest’ultima, in particolare, il compositore si infuria persino col librettista, non vuol sentir parlare di stratagemmi o censure: esige che gli attori siano vestiti come gli spettatori, per gettare in faccia agli astanti la storia narrata come uno specchio, lasciare che si infranga e li ferisca dritti in faccia. Quando il sipario si alza, il pubblico si trova di fronte non una società artefatta, ma sé stesso, con i suoi drammi, la violenza, le imperfezioni.
E se ciò accade sul palco, anche fuori c’è fermento. Ci si incontra, si gioca (d’azzardo), ma soprattutto si progetta ogni genere di piano, dai tradimenti ai complotti. Inoltre, tra i palchi, le donne occupano un posto di primo piano e non certo come suppellettili: organizzano incontri, sono colte, preparate, hanno idee liberali che serpeggiano tra i merletti e giungono a chi ha accesso ai centri di potere, a chi può accendere le folle.
E anche in questi giorni, la Prima ritrova il suo posto in un dibattito sociale più ampio: l’emergenza sanitaria, la chiusura dei luoghi di cultura. Non a caso, Davide Livermore, il regista, nel suo discorso ricorda Rostropovich che suona il violoncello di fronte al muro di Berlino a pezzi, l’ordine mondiale che si dissolve mattone dopo mattone per dare origine a un mondo nuovo. E non è forse questo che fa la musica, e l’arte in genere? Dare vita, aiutarci a respirare.
Foto di Dayne Topkin (Unsplash)
L’ascolto della settimana
Serpentine Prison, Matt Berninger (Concord, 2020)
È l’esordio solista di Matt Berninger, voce e anima dei National, ed è un capolavoro. Il dono di Berninger è di comprendere l’inafferrabile, abbracciarlo e tradurlo in musica. La sua voce è protagonista, la scrittura fluida, le melodie in grado di scavare nel profondo di chi le ascolta, scivolando dalle orecchie al cuore e ancora più giù, là dove le emozioni nascono e, a volte, muoiono.
Serpentine Prison è su Spotify, qui.
Un paio di letture
Due vite, Emanuele Trevi (Neri Pozza, 2020)
Il racconto, per l’appunto, di Due vite che si intrecciano: la viscerale sensibilità di Pia Pera e il groviglio di furie di Rocco Carbone, due scrittori, amici, esistenze prematuramente svanite. Quello di Emanuele Trevi, amico di entrambi, è il ritratto di un sentimento inossidabile e puro come solo l’amicizia sa essere, nonché di due grandi protagonisti della cultura recente. Dal testo: “Come è possibile che conteniamo in noi tante cose così disarmoniche e spaiate, manco fossimo vecchi cassetti dove le cose si accumulano alla rinfusa, senza un criterio?”.
Il libro è sul sito di Neri Pozza.
E l’asina vide l’angelo, Nick Cave, traduzione di Francesca Pe’ (Edizioni SUR, 2020)
Per la musicalità intrinseca delle parole, l’evocazione delle tinte scure in ogni suono, di solito tendo a consigliare la lettura di Nick Cave in lingua originale. Tuttavia, la nuova edizione di E l’asina vide l’angelo trascina negli abissi visionari del maestro, in un romanzo pubblicato alla fine degli anni ‘80, precursore delle altre sue opere letterarie. Il soggetto? Sud degli Stati Uniti, la devozione a un dio crudele, reietti e santi bambini: “Teneva gli occhi fissi davanti a sé, immobili e spalancati e come vuoti. Quali mondi la avvincessero tanto mentre se ne stava accovacciata tra i fiori di pesco bianchi e rosa, possiamo solo immaginarlo.”
Ecco il libro di Nick Cave sul sito di Edizioni SUR.
DAL BLOG
La Prima alla Scala, 5 momenti storici per “riveder le stelle”
La Prima alla Scala di Milano non è né un semplice concerto né un mero evento mondano: da sempre, in un luogo dove vita sociale e politica di una città e di un intero paese si sono intrecciate tra palco e loggioni, il suo significato è ben più profondo. Al netto del valore culturale e storico, la Prima è riflesso del mondo intorno, l’occasione per accendere il pensiero su quanto accade. Quest’anno, ha ricordato quanto resta di prezioso: la musica come arte, impegno, mestiere; ma soprattutto come messaggio universale di forza, unione, speranza.
Ho raccontato cinque Prime (più o meno) della Scala, dalla più recente, l’8 dicembre 2020, fino al lontano 1842, con quella rockstar di Giuseppe Verdi.
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