#10 - Memoria
La Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare.
— Liliana Segre
La musica è ovunque — è davvero banale dirlo? — proprio come la spiritualità e il bisogno ancestrale di raccontare storie che pulsa nelle vene di ogni essere umano.
Basta pensarci un istante: cantano i bambini quando ancora non conoscono le parole, cantavano gli schiavi nei campi di cotone e le mondine in quelli di riso, i soldati in trincea. Si canta per gioia, dolore, protesta, vittoria e persino sconfitta. A rifletterci ancora di più, la musica non è solo espressione: è la creazione di legami, il tessere storie da tramandare, far sì che un’idea viva.
Già, si cantava anche nei campi di sterminio.
Qual era la musica che si insinuava nell’orrore? Ninne nanne, canti d’amore, di nostalgia per la propria terra, preghiere, versi ispirati a fatti di cronaca o avvenimenti accaduti nei paraggi, canzoni popolari, melodie classiche. Qui, del resto, erano rinchiusi anche musicisti e compositori che si trovarono, all’improvviso, a creare non per sé stessi o un pubblico, bensì per un universo nuovo, per il senso di comunione e solidarietà che poteva portare ciascuno, esecutore e ascoltatore, a restare vivo, umano.
Ad Auschwitz-Birkenau, tra i prigionieri erano presenti dei musicisti rom, gli unici a cui fosse concesso suonare anche oltre l’orario di coprifuoco: si racconta che persino i loro carcerieri gradissero la musica, tanto da non interromperla. Erano rinchiusi lì, con una tradizione antica, estranea a molti, eppure diventata granitica nel rappresentare una scintilla nella barbarie.
Si cantava assieme, ricordano i testimoni, donne e uomini di diversa età, provenienza, estrazione sociale e credo religioso; si cantava assieme anche dopo essere rimasti soli, aver visto spezzati gli affetti, per ritrovare un senso di comunità perduta.
E, dove non c’erano gli strumenti, c’era la voce, che poi è lo strumento musicale per eccellenza. Dove non c’erano spartiti, ecco supporti di fortuna o la trasmissione orale, di melodia in melodia, per una musica che sopravviveva, anche quando la persona soccombeva all’orrore.
La musica, si accennava, fa questo: fa pensare, unisce, è la vita.
E sì, ogni riferimento a questo periodo non è affatto casuale, perché il Giorno della Memoria non è un monito astratto, è qualcosa da tenere presente ogni giorno, la coscienza di ognuno e di tutti.
Foto di Leonor Oom (Unsplash)
Uno speciale
Lab24 de Il Sole 24 Ore, come ogni anno, presenta uno speciale dedicato al Giorno della Memoria che consiglio di esplorare: le nuove pietre d’inciampo poste a Milano (e non solo), i podcast dedicati alle testimonianze di chi è sopravvissuto perché si sappia quanto è successo, per raccontare (usando le parole di Sami Modiano).
Un film
JoJo Rabbit è un film del 2019 di Taika Waititi, tratto dal romanzo Il cielo in gabbia di Christine Leunens (tradotto da Maurizia Balmelli e pubblicato da SEM). La storia? È quella di Johannes Betzler, detto JoJo, un bambino che vive nella Germania nazista, con un amico immaginario dai peculiari baffetti (sì, lui). Accecato dalla propaganda, il risveglio alla realtà è sconvolgente, in una storia raccontata con delicatezza e ironia. È disponibile in streaming su Sky.
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