È il 14 aprile del 1888 quando, a New York, la storia cambia: tutto inizia intorno a grande scatola di legno, su cui è installato una specie di visore. Come viene spiegato agli avventori, è sufficiente poggiare un occhio qui sopra, inserire una moneta in una fessura e girare una manovella, dopodiché ecco la meraviglia: in un istante, le immagini scorrono vive, prendono forma in una sorta di spioncino affacciato su una dimensione parallela.
Il film presenta una grossa differenza rispetto alle proposte, statiche, di altri dispositivi: qui la vita è reale, 48 immagini al secondo scorrono vivide su una pellicola da 35 millimetri, realizzata dalla Kodak, custodita nella macchina.
Thomas Edison progetta e sviluppa il kinetoscopio per anni, al fianco di William Dickson: da quel giorno di centotrentatré anni fa, immagini e musica stringono il loro inscindibile sodalizio. Anche perché la visione del kinetoscopio è, da subito, accompagnata dalla musica del fonografo.
Nel corso degli anni, delle generazioni e dei secoli, cambiano le tecnologie, cinema e musica si districano ciascuno nella propria definizione di un linguaggio, si incontrano e collidono, si uniscono nel soverchiare il vocio incessante delle sale cinematografiche, le melodie diventano diegetiche, le immagini acquisiscono un nuovo valore accompagnate dalla stessa musica e da ogni singolo suono. Registi, compositori, tecnici orchestrano una sinfonia.
Eccolo qui, il kinetoscopio (immagine da Wikipedia).
Molti, molti anni più tardi, sempre il 14 aprile, un film è protagonista degli Oscar: è Apocalypse Now, il cui titolo è avvinghiato a quello del brano The End dei Doors. Il regista, Francis Ford Coppola, e il poeta e musicista, Jim Morrison, hanno visto le loro vite sfiorarsi tra i corridoi della UCLA di Los Angeles, dove il cinema si studia, per poi intraprendere ciascuno il proprio percorso artistico.
In particolare, il brano è la traccia conclusiva del debutto discografico della band di Morrison e, sul grande schermo, il suono prende vita tra i riverberi delle pale di un elicottero, lasciando spazio all’incedere della chitarra di Robby Krieger, accordata per evocare le atmosfere del sitar. L’estratto della canzone, che dura circa dodici minuti, compare nelle scene iniziali del film e in quelle finali ed è rielaborata in una nuova versione rispetto a quella del disco.
E io, ogni volta che incappo in artisti (e non solo) che pensano di camminare da soli — di camminare da soli e in grande stile —, ricordo i capolavori nati dalla collisione di mondi diversi.
Un disco
Andrea Fornari, Un milione di piccole cose (Ghost Records, 2021)
Cantautore e polistrumentista, Andrea Fornari torna con un nuovo disco, il primo tutto in italiano. Un milione di piccole cose è stato anticipato, lo scorso autunno, dai singoli Muraglia cinese e Supernova, pietre miliari per la creazione del progetto. Il risultato è un album che scruta i dettagli del mondo intorno, assorbe frammenti di vita vissuta, parla al cuore di ogni ascoltatore mutuando i linguaggi lirici e musicali di stili e generi diversi, sfaccettato come la vita, sincero come un vecchio amico.
Le tracce sono tutte su Spotify.
Un libro
Due parole sulla musica, Marina Toffetti (Carocci Editore, 2020)
Il sottotitolo (eloquente) di questo libro è Noi e il lessico musicale. Già, perché se è vero che la musica è conosciuta per essere eterea, per arrivare ai luoghi nascosti dell’anima, è tuttavia necessario padroneggiare le giuste parole per descriverla, studiarla, comunicare le sensazioni che è in grado di suscitare, che ciò avvenga in ambito professionale o per quattro chiacchiere piacevoli. Marina Toffetti ha una scrittura limpida e una competenza encomiabile (insegna Teorie musicali e Analisi delle forme musicali e delle tecniche compositive), soprattutto ha il dono di coinvolgere il lettore con entusiasmo e precisione, alternando storia e tecnica, narrazioni quasi epiche a lucide spiegazioni scientifiche: più che un manuale, un’appassionante guida spirituale nei meandri della terminologia musicale.
Ecco il libro sul sito di Carocci Editore.
Un articolo (dello scorso anno, ma attuale)
Che cosa ci dicono i libri di Nick Cave della crisi che stiamo vivendo
Lo scorso anno, nel pieno dell’isolamento e di fronte a un periodo di crisi per tutti inedito, ho scritto questo articolo per Rolling Stone. L’idea era di procedere come al solito, nei momenti bui: cercare risposte (e trovarle) tra le parole di Nick Cave. In particolare, qui le ho cercate tra i suoi libri (La morte di Bunny Munro, E l’asina vide l’angelo e The Sick Bag Song), affibbiando a ciascuno un ruolo, una prospettiva precisa. Per caso, l’ho riletto questa mattina, trovandolo ancora di un’attualità disarmante:
“Ho capito che non è facile essere delle brave persone a questo mondo”, osserva Bunny Munro. Forse però questo è il momento. Forse, dopotutto, tra la speranza di essere migliori e il dubitare di cambiare, accettare il semplice fatto di essere diversi è possibile. Finirà il silenzio, tornerà quella musica che svelerà il nostro sguardo su un mondo nuovo.
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