«Dovresti fare come Mandela» suggerisce Martina.
La storia è nota, almeno dovrebbe: dopo ventisette anni di carcere, Nelson Mandela disinnesca il meccanismo che lo avrebbe altrimenti portato, una volta libero, alla vendetta verso i propri carcerieri, una vendetta personale tanto quanto politica. Riesce, dettaglio non trascurabile, a non diventare prigioniero della sua stessa rabbia. Così, anche per questo, si trasforma nell’Invictus descritto dai versi di William Ernest Henley.
Ora, tornando al suggerimento, in un’ipotetica scala da zero a Madiba, è abbastanza semplice valutare la posizione di ciascuno: da un lato, la speranza di non essere messi troppo male; dall’altro, quel barlume di spirito critico a suggerire che ci siano parecchi scalini da salire.
Certo, ogni gradino è un’impresa. Un’impresa che ci rende migliori di chi ha inflitto ferite varie, pur con tutti i difetti, pur con tutte le complessità e le contraddizioni che annegano nel nostro essere fallibili. Come suona bene, questa parola: migliori. Una parola che non significa lustrare un’immagine di sé per nascondere la vacuità dell’ipocrisia, pontificare per riscuotere consenso, perdersi nelle allegorie digitali dell’eterno conflitto tra essere e apparire, ostentare buoni sentimenti e facile umorismo contraddetti da gesti quotidiani verso gli altri, gesti che spesso denotano una totale assenza di empatia e rispetto, bensì affrontare le conseguenze delle nostre azioni, per quanto possano mettere a nudo i lati oscuri che non ci piace né mostrare né tantomeno riconoscere.
Vuol dire non dimenticare l’essere stati offesi, umiliati, traditi, soggiogati, insultati, disprezzati e ricordare che sì, siamo diversi — anni luce — da qualsivoglia carceriere o aguzzino; siamo migliori perché non fuggiamo, non fingiamo, non voltiamo le spalle, non sferriamo armi simili a quelle che ci sono state puntate addosso.
Sarebbe troppo semplice.
Foto di Ashim D’Silva, da Unsplash.
Rientrando dalla divagazione, ecco le coincidenze — per inciso, non credo esistano — inattese: Mandela viene liberato l’11 febbraio 1990, un paio di anni dopo lo storico concerto di Londra a lui dedicato. Uno show trasmesso in tutto il mondo, tranne nel Sudafrica dell’apartheid, ça va sans dire. Un giorno, documentandomi su tutt’altro, sono inciampata in una data molto simile: l’11 febbraio 1963, esattamente ventisette anni prima, gli stessi trascorsi in carcere dal futuro Presidente. Quel giorno, quattro ragazzi si chiudono in studio per registrare il disco di debutto. Chissà se, mentre imbracciano i loro strumenti, immaginano di cambiare il mondo. Mi piace credere sia così, o che almeno lo desiderino: perché, insomma, quel disco è Please Please Me e quei quattro tizi sono i Beatles.
Un disco
Between Solitude And Loudness
Girl in The Fridge/Little Boy Blue (Asbestos Digit, 2021)
Dietro al progetto Girl In The Fridge/Little Boy Blue c’è Matteo Conti, italiano residente lassù in Belgio. Abrasioni post rock inseguono echi ambientali, atmosfere digitali sono screziate dalle corde di chitarra. Le parole, declamate, scorrono sulla musica, a detta dello stesso autore, «tramite cut-up su tutto ciò che ho letto, guardato, sentito e visto negli ultimi dodici mesi». Nota a margine per la copertina: si tratta di un’illustrazione di Michael Grater, Paper Faces.
Il disco è in anteprima su Rumore.
Un libro
La divina differenza
Silvio Raffo (LietoColle, 2015)
In un centinaio di pagine, Silvio Raffo apre una breccia sull’opera “lirica e sublime”, come lui stesso la definisce, di Maria Luisa Spaziani, autrice ai vertici espressivi della poesia contemporanea. Lucente e vigorosa, lirica ed estatica, tra gli innumerevoli componimenti della poetessa è impossibile dimenticare questi versi emblematici, dal titolo L’indifferenza (tra gli ottimi motivi per scoprire, o riscoprire, la sua produzione):
L’indifferenza è inferno senza fiamme,
ricordalo scegliendo fra mille tinte
il tuo fatale grigio.
Se il mondo è senza senso
tua solo è la colpa:
aspetta la tua impronta
questa palla di cera.
Un articolo
In The Mood For Love, la colonna sonora
Ispirato al romanzo breve Un incontro di Liu Yichang (tradotto in italiano da Maria Rita Masci e pubblicato da Einaudi), In The Mood For Love di Wong Kar-wai torna al cinema a vent’anni dal suo debutto nelle sale, in una nuova versione restaurata. Con il film, torna anche l’occasione per riascoltare una delle migliori colonne sonore di sempre.
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