C’è un libro su un ripiano al centro della casa: negli ultimi due anni, intorno a lui sono andati in scena discorsi, pianti, sorrisi, litigi, visite, baci, abbracci, traumi, feste, disperazioni e qualsivoglia scheggia di vita. È una vecchia copia di Orientarsi con le stelle di Raymond Carver, una delle prime edizioni di minimum fax dalla copertina verde brillante.
Credo sia lì, esule da ogni libreria, a ricordare i due elementi che mi hanno aiutata a non smarrirmi nel corso della vita, in particolare nell’ultimo, tremendo biennio: parole e musica. Le parole come atto d’amore e ribellione, la musica come linguaggio universale e ricerca incessante di risposte, sono state guida, supplizio, conforto; hanno ricordato, giorno dopo giorno, il bisogno dell’essere umano di raccontare storie, tramandare la memoria, cercare la fede in qualcosa o, all’opposto, arroccarsi nel suo rifiuto. Tutti elementi che ci rendono simili sotto lo stesso cielo, anche quando il cielo è buio.
In effetti, la musica non ha bisogno di luce. La scena che mi sovviene è la seguente: melodie che sopraggiungono dal giardino, rischiarato dalle torce. Una piccola orchestra suona, le note si diffondono nel parco e sfumano lassù, verso le stelle. Nel Settecento, epoca in cui la scena si ambienta, i notturni sono le composizioni pensate ed eseguite per questa atmosfera da musicisti immersi nel verde. Certo, sono gli omonimi movimenti per pianoforte dell’Ottocento a conquistare l’immaginario, le hit del secolo giunte sino a noi. Ispirati alle opere teatrali, orecchiabili, questi nuovi notturni abbandonano i giardini per entrare nei salotti. Pensati per il pianoforte, strumento onnipresente nelle case borghesi, vengono suonati e suonati all’infinito da maestri e dilettanti, riecheggiando da una dimora all’altra.
Bisogna viaggiare fino in Irlanda, dove è nato, e poi a Londra per trovare colui che ne è ritenuto il padre, John Field, allievo di Muzio Clementi. È lui a definire il canone che arriverà tra le dita di Fryderyk Chopin, che ne scrive diversi, esplorando tutti i sentimenti umani, dalla luminosa tenerezza allo sconforto più tetro, lasciandosi guidare dallo spettro delle emozioni nel tracciare i segni sul pentagramma. Ed è questa la grandezza: la volontà indomabile di tradurre in simboli sulle partiture le emozioni inafferrabili, trasformare l’estro in scienza, il sentimento in arte, indagando la notte scura.
Dettaglio di una mappa astronomica del 1750.
Da ricordare, tuttavia, che c’è un modo per capire dove ci si trova nella notte: è osservare le stelle, per l’appunto. Tra questi, è presente uno strumento — uno è peraltro appeso a pochi passi dal libro di Carver — chiamato notturnale: basta individuare la Stella Polare e, con un sistema più o meno complesso, è possibile stabilire la data e l’ora in cui ci si trova in quel preciso istante. Nel mezzo del nulla più cupo, è in grado di indicare in quale punto della storia siamo, incrociare le coordinate dello spazio e del tempo e dare un senso al nostro essere lì.
Penso sia un modo per stare bene, uno dei molteplici: sapere o credere di sapere dove siamo, lasciandoci alle spalle i momenti in cui siamo stati smarriti. Dopodiché, il futuro è un’altra storia.
Due libri
Cronache marziane
di Ray Bradbury, traduzione di Giorgio Monicelli (Mondadori, 2016)
Quando Curiosity ha iniziato a girovagare su Marte, Ray Bradbury ci aveva lasciati da alcune settimane: proprio a lui — a chi altrimenti, mi viene da aggiungere — è stata dedicata la zona di atterraggio del rover. Con le sue Cronache marziane, Bradbury esplora il pianeta in ventotto racconti, lasciando da parte gli aspetti scientifici e tecnologici in favore di un approccio fantasioso, una pulsione nei confronti della scoperta e della vita. Senza dimenticare, con uno sguardo più attento, un invito al viaggio, alla conoscenza, alla fiducia nell’uomo e al rispetto verso gli altri e il mondo intorno.
Lettere e biglietti
di Goliarda Sapienza (La Nave di Teseo, 2021)
Goliarda Sapienza crede nella parola e la sua fede è inscalfibile. Le pagine di Lettere e biglietti raccolgono testi inediti scritti in oltre quarant’anni, nel secolo scorso, fin quasi alla vigilia della morte. Sono svelati i suoi legami con personaggi come Luchino Visconti e Marta Marzotto, idee, visioni; una corrispondenza intensa, elegante, profonda come le corrispondenze più autentiche sanno essere. Le frasi sono cesellate con finezza, le emozioni pure come il cristallo e un’intera vita è scritta e letta come un romanzo epistolare (e sentimentale) senza tempo, dal valore assoluto.
Un disco
Daddy’s Home
St. Vincent (Loma Vista, 2021)
A volte c’è un disperato bisogno di St. Vincent, di anelare alla redenzione e abbandonarsi alla disperazione, di scavare nella memoria alla ricerca della direzione più giusta da intraprendere, di trovare le parole che, in qualche modo, definisco noi stessi e la nostra storia. Nell’ultimo disco di St. Vincent si scivola tra la lucentezza di ...At The Holiday Party e i synth acuminati di Pay Your Way In Pain ed è un album che brilla di forza magnetica.
Un film
Sto pensando di finirla qui
di Charlie Kaufman (2020)
Vorrei che Charlie Kaufman fosse mio amico, vorrei ricordargli ogni pomeriggio, mentre ci concediamo un caffè, come alcuni dei suoi lavori migliori — Synecdoche da regista, Essere John Malkovich ed Eternal Sunshine Of The Spotless Mind da sceneggiatore, per citarne giusto tre — siano una splendida, dolente spina negli strazi di un generazione. Questo film, adattamento dell’omonimo romanzo di Iain Reid, è un susseguirsi di flussi narrativi che scorrono e sfumano l’uno nell’altro, durante un viaggio in una tormenta notturna, fino a un finale illuminante. Il tutto raccontato con la solita maestria. È disponibile su Netflix.
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