Le maschere sono chiuse in una stanza del palazzo, chiuse a chiave, intendo: lontane da sguardi, mani e idee strane. Per tutta la loro esistenza, sono state custodite in un luogo segreto, si dice vicino a un fiume, un luogo segreto che è a circa 7.000 km di distanza. Sono state portate qui da musicisti e danzatori, donne e uomini arrivati nel cuore antico di Venezia da Mbanda, un villaggio del Malawi nei pressi di Blantyre.
Il mio primo pensiero è che, qui intorno, di acqua ce ne sia in abbondanza e che ciò non possa che essere di buon auspicio e favorire la benevolenza di qualsivoglia entità, ma questo è un altro discorso. A Mbanda, così come in alcune aree di Zambia e Mozambico, vive il gruppo etnico e linguistico chewa, il più numeroso del paese. Per spiegare in modo molto, molto breve: le cerimonie musicali di questo gruppo esulano dal concetto di intrattenimento, sono parte imprescindibile e intima della vita del singolo, della sua crescita ed evoluzione fisica e spirituale, tanto quanto della società, vista come insieme interdipendente di persone. Ciò che avviene sull’isola di San Giorgio — per essere precisi, all’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati — non è uno spettacolo, bensì «una vera e propria finestra aperta sui rituali del Malawi», come spiega Giorgio Adamo, etnomusicologo e organizzatore della giornata. La finestra, in particolare, si spalanca su due cerimonie interconnesse: una legata alle società segrete maschili, l’altra alla dimensione privata delle donne, entrambe accomunate da intima sacralità.
Il Gule Wankulu, la grande danza, è eseguita dalle società segrete Nyau, strutture che definiscono le relazioni di potere all’interno dei villaggi, ad esempio, per l’insediamento di un nuovo capo o, molto più spesso, in seguito a un lutto. Sono le maschere l’elemento che più colpisce: agglomerati di colori, tecniche e materiali che plasmano spiriti di antenati o animali, antropomorfe (sono realizzate anche con le sembianze di personaggi contemporanei) o zoomorfe, custodite in luoghi inaccessibili. In queste società segrete, da notare, sono ammesse le donne e con ruoli affatto trascurabili: basti pensare che è un’anziana a guidare i rituali di iniziazione. La stessa si occupa delle iniziazioni delle ragazze con il Chinamwali: alla comparsa della prima mestruazione, è il passaggio necessario per essere inserite nella nuova vita. In questo caso, la coreutica ha una valenza simbolica, un linguaggio precluso agli uomini, che parla di sessualità, gravidanza, quotidianità ed è eseguito con precisi quanto complessi movimenti, soprattutto del bacino, anima della vita, il potere supremo.
Una maschera del Gule Wamkulu, da Wikimedia.
Le donne, per l’appunto, non solo hanno un ruolo fondamentale nei rituali, guidandoli con canti e battiti delle mani: si tratta di uno specchio della società chewa tutta, a struttura matrilineare e uxorilocale.
Sono passati tre anni da quella sera. Ho ripensato a quei momenti leggendo del Malawi, desiderando tornare a Venezia, provando a sedare il fastidio per egoismo ed edonismo dirompenti, perché c’è un baratro che ci scorre accanto in cui non ho nessuna intenzione di cadere.
Perché forse, dopo un anno che ha travolto tutti sbandando oltre ogni logica e dissipando persino il buon senso, è il momento di tenere alto lo sguardo all’orizzonte e cessare di inseguire l’effimero, di dare per scontato il vitale.
Due libri
Il danzatore dell’acqua
di Ta-Nehisi Coates, traduzione di Norman Gobetti (Einaudi, 2020)
Hiram Walker nasce schiavo in una piantagione della Virginia. Tutto cambia quando, gettato in un fiume, scopre un potere misterioso, potente, insopprimibile: inizia così una storia che parla di avventura, riscatto, presa di coscienza del singolo e di un popolo intero. Il danzatore dell’acqua è il debutto nel romanzo di uno dei maggiori intellettuali degli Stati Uniti ed è rivelatore nel suo essere contemporaneo e senza tempo. Perché, come sostiene uno dei personaggi, è l’oblio la vera schiavitú, è la vera morte.
Foto & frisbees
di Giulia Niccolai (Oedipus, 2016)
Se n’è andata poco prima che i Dispacci venissero riletti e chiusi: Giulia Niccolai è stata una poetessa in costante cammino verso la ricerca di sé, l’accettazione, l’esplorazione della lingua come rappresentazione intima, profonda, concreta. Ha scritto poesie e di poesia, ma anche di arte, soprattutto di pittura. Foto & frisbees è una delle raccolte più recenti e facili da trovare, tuttavia questi versi restano tra i più vividi, perfetti per un suo ricordo:
Il suo braccio nel sonno
appoggiato
alla mia vita
è il remo nello scalmo
e il resto è acqua
acqua
acqua
Un disco
Tell Uric
Luigi Porto (Respirano Records - La Lumaca Dischi, 2021)
Il nuovo disco di Luigi Porto è al contempo un taccuino di pensieri, la cronaca delle contraddizioni di una società intera, un amplificatore di voci per chi la propria non ha modo di farla ascoltare. Nasce così una poetica che unisce alla musica la riflessione sociale e politica, modulando i registri espressivi, lasciandosi alle spalle gli stantii confini tra generi, avvalendosi di una collaborazione corale tra artisti dissimili.
Ne scriverò a breve, intanto il vinile di Tell Uric è già disponibile nello shop di Diecisei in cd e vinile (che consiglio).
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