Nel 2004, le cose erano molto diverse: per esempio, l’iPod e Billie Eilish avevano tre anni. La redazione di Rolling Stone non ha mancato di far notare questo dettaglio quando, più o meno in modo inaspettato, qualche giorno fa ha sconvolto la sua classifica delle 500 canzoni migliori di tutti i tempi.
Non credo molto in liste simili, non credo nella loro immutabilità: le mie personali di libri, dischi, vini e quant’altro non stanno mai ferme, sembrano particelle impazzite nell’iperspazio. Quindi, un ordine sovvertito da una delle riviste più lette e criticate al mondo non può che essere una notizia.
Al vertice delle migliori canzoni dominava, appunto dal 2004, Like A Rolling Stone di Bob Dylan: niente da obiettare, anche solo per essere il brano che ha ispirato il nome di una certa band. Eppure, eppure.
Eppure c’è una canzone che racchiude in sé il senso del nostro tempo, lo spirito che anima la voglia di cambiamento, la continua, incessante, inesauribile lotta per l’affermazione di sé stessi in un mondo che non perde il vizio di essere ostile; sette lettere in grado di fermare l’orbita terrestre, dare un segno di presenza: R-E-S-P-E-C-T (da leggere sillabandole, in inglese), nella versione della Regina.
Respect di Aretha Franklin è oggi al primo posto della famosa classifica, ha una storia degna di nota, che spiega quanto le commistioni, nella musica come nella vita, siano tutt’altro che trascurabili; spiega quanto chi abbia a che fare con questa arte non possa essere estraneo ai concetti di inclusività e cambiamento.
Nasce nel 1965, destinata alla voce di Otis Redding, ma è solo due anni più tardi che diventa un successo, proprio nell’interpretazione di Franklin. La forza, insieme alla fama, non sbiadisce, continua anzi a rimbalzare da una generazione all’altra, dalle immagini del film The Blues Brothers del 1980 al #MeToo in tempi più recenti, movimento di cui diventa simbolo, per arrivare a incarnare il titolo del biopic su Aretha Franklin stessa, in uscita in questi giorni e con protagonista Jennifer Hudson.
Parentesi: la classifica ha provato anche ad aprirsi ad altri generi, oltre al classico rock. Chi c’è sul podio? Fight The Power dei Public Enemy e A Change Is Gonna Come di Sam Cooke: non male, no?
Un documentario
Sisters With Transistors (2020)
di Lisa Rovner
La regista Lisa Rovner firma l’esordio nei documentari con una storia che, nel corso degli anni, non è mai stata raccontata in modo adeguato: la storia delle pioniere della musica elettronica. Tra primi computer e sintetizzatori modulari, è il tocco di queste artiste, sperimentatrici, alchimiste, scienziate, che traccia una nuova strada, un percorso fondamentale nello sviluppo della musica contemporanea, dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Ventesimo secolo.
Rivivono così, per ricordare solo due delle figure tratteggiate da Rovner, Clara Rockmore, intenta a domare con grazia le note del suo theremin, e Suzanne Ciani, prima donna sulla copertina di Keyboard, con il suo inconfondibile caschetto.
Clara Rockmore, immagine dal sito ufficiale.
In Sisters With Transistors emergono poesia tecnologica, sperimentazione, competenza, emerge soprattutto la volontà di guardare verso l’ignoto e conquistarlo, di plasmare i traguardi di scienza e tecnica in nome dell’espressione di sé, di un ideale.
Qualche info qui, sul sito ufficiale: sisterswithtransistors.com.
Un disco
José González, Local Valley
(City Slang, 2021)
La musica è quanto di più vicino al soprannaturale io conosca e, a ogni suo disco, José González conferma la tesi. Sei anni dopo l’ultimo album, Local Valley è una breccia su un universo meraviglioso: l’inconfondibile timbro tiepido, le corde della chitarra pizzicate con salda maestria, i versi accennati di una poesia allo stesso tempo scarna e pulsante.
González scivola a ritroso fino alle radici argentine, mischiandole con quelle svedesi, piega la forma canzone in componimenti brevi e delicati, pesca nel repertorio dei Junip, la sua storica band, quella Line Of Fire che è stata nella colonna sonora di Breaking Bad, snocciola intimismo, affronta con serena fermezza mari irrequieti, ipnotizza, illumina.
Potete già ordinare nello shop di Diecisei la versione cd oppure vinile.
Un podcast
Rocket Girls. Storie di ragazze che hanno alzato la voce
di Laura Gramuglia
Quante sono le donne che hanno fatto (e fanno) la storia della musica? Tante, più di quante si racconti. Il podcast Rocket Girls di Laura Gramuglia dà loro voce, raccontando «vite straordinarie fatte di sfide quotidiane e grandi canzoni, di scelte spesso difficili e dischi di cui non si può più fare a meno una volta scoperti». Durante ogni puntata, insieme alla (ri)scoperta di grandi del passato, Gramuglia incontra artiste, ingegnere del suono, attiviste e altre protagoniste del presente, per dare vita a una narrazione sfaccettata, profonda, brillante.
Vi consiglio di ascoltare, davvero. Il podcast è su Spreaker, a questo link, e ha appena inaugurato la seconda stagione. Ne ho scritto anche qui:
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