È un dispaccio atipico, quello di oggi, poiché la storia riguarda in prima persona chi la sta scrivendo.
Tutto inizia da una mappa.
Quando ero ragazzina, avevo questa fascinazione per qualsiasi cosa fosse ambientata a Londra, libri, film, quadri, qualsiasi cosa. Così, un giorno, è arrivata una mappa di quella città che desideravo scoprire.
Perdendomi per le sue vie, ho iniziato a scrivere: mi ero già cimentata con qualche racconto, avevo persino immaginato una storia con protagonista un dinosauro — un plateosauro, per essere precisi — che si era aggiudicata un bel premio a un concorso, ritirato al Museo di Storia Naturale; e poi una saga di pirati che aveva diversi volumi, tre, se non sbaglio. Così, ogni sera, scrivevo, scrivevo su uno di quei computer ingombranti e rumorosi.
Poi la vita, come al solito, fa il suo dovere: accade.
Ho dimenticato a lungo quelle pagine fino a che, alcuni anni fa, mentre ero alla ricerca di non ricordo cosa, eccolo lì: un volumetto rilegato a spirale, un racconto che, pur nelle incertezze, colpiva per vividezza delle immagini, intreccio, dedizione.
Perché non riscriverlo, mi sono detta. A Londra, per l’occasione, ci sono tornata davvero: ho trascorso giorni negli archivi della città a scartabellare vecchi documenti per conoscere, per sapere tutto dei miei personaggi — dove e come vivessero, che odori respirassero, quali vestiti indossassero, quali fossero le loro speranze, rassegnazioni, idee — e dare forma tangibile a quell’abbozzo.
Stanford’s Map Of Central London (1897), dettaglio.
È stato dopo aver terminato l’impresa che ho deciso di studiare seriamente scrittura creativa, la scintilla che mi ha spinta oltre, a un passo che mi ostinavo a rimandare da anni, una delle decisioni migliori che abbia preso in tutta la mia esistenza.
Le pagine in questione — sono oltre trecento, attenzione — hanno un titolo: si chiamano Polvere e cenere e saranno pubblicate a fine mese da L’Erudita.
Questo rigurgito di ego, abbastanza inedito, per dire che ciò che pensiamo impossibile può diventare reale, che dobbiamo avere cura di noi stessi, di noi stessi bambini in particolare: immaginarci da piccoli, qui accanto, e dirci che hai visto, non è andata poi così male, ci sono state lacrime e sorrisi e sbagli e vittorie, ma guarda che meraviglia. L’essere umano ha questo vizio, di narrativizzare ciò che accade per dare un senso a tutto: cerchiamo di farlo prendendoci cura di noi, di noi stessi e di chi ci è accanto.
Un disco
The Felice Brothers, From Dreams To Dust
(Yep Roc, 2021)
I Felice Brothers approdano all’ottavo disco. Il loro percorso artistico scorre naturale, si snoda come un fiume tra anse e avvallamenti, prosegue verso un orizzonte lontano, raccogliendo storie, impressioni, emozioni distillate.
Nell’album, prodotto dalla band, fanno capolino anche altri artisti, come Bright Eyes, Mike Mogis e Nathaniel Walcott. Così, tra i brani registrati in una chiesa newyorchese dell’Ottocento, la voce di Ian Felice è una guida limpida e sicura, solca malinconie profonde e illumina aneliti di speranza. È un disco solido e raffinato, intenso e rovente.
Il preordine è disponibile nello shop di Diecisei.
Un libro
Origini
di Saša Stanišić, traduzione di Federica Garlaschelli
(Keller Editore, 2021)
Nato in un villaggio della Bosnia Erzegovina, da madre bosniaca e padre serbo, è adolescente quando emigra in Germania, dove trascorre il resto della vita: qui, Saša Stanišić diventa uno degli scrittori contemporanei più sensibili e di talento.
Le sue parole danzano tra dramma e commedia, lo spunto autobiografico si trasforma in una parabola sulla ricerca di salvezza, redenzione; allo stesso tempo, la memoria diventa strumento per scavare intorno alle proprie radici, consegnare al lettore una prosa schietta e melodica, erigere un ponte tra passato e futuro.
«Origini è un addio a mia nonna che soffre di demenza senile», scrive Stanišić. «Mentre io colleziono ricordi, lei li smarrisce».
Un libro scelto per me da Cristina della Scatola Lilla, il volume dell’autunno per il prezioso abbonamento stagionale.
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