Scrivere, nel mio mondo, è da sempre fonte di conversazione. Anzi, fin troppo spesso si parla di scrivere più di quanto davvero si scriva.
Nel corso dell’ultima presentazione del mio romanzo — ciao, ego! Sei selvatico, ma qualche volta fai capolino dalla tana — l’amico autore che conduceva la serata mi ha chiesto del ruolo della scrittura nella mia vita. La questione è abbastanza semplice: credo che tutti dovrebbero scrivere, qualunque cosa e in qualunque modo. Scrivere aiuta a ordinare i pensieri — scrivere la lista della spesa, ad esempio, è tutt’altra cosa rispetto al vagolare tra gli scaffali — così come a identificarli, dar loro un nome; scrivere aiuta a fissare nel presente ciò che accade tanto quanto ciò che si vorrebbe accadesse, visualizzarlo; scrivere è un modo di dare forma ai pensieri, esternare noi stessi.
Scomparsa di recente, quindi ora autrice preferita di pressoché chiunque l’abbia anche solo sentita nominare, Joan Didion sostiene nel suo Why I Write:
I write entirely to find out what I’m thinking, what I’m looking at, what I see and what it means.
Insomma, nel mio mondo, scrivere chiarisce noi stessi e crea relazione con gli altri: è una danza a due, una volta appresi i passi, fondata su un patto implicito, consensuale.
Sempre Didion, in effetti, continua:
Setting words on paper is the tactic of a secret bully, an invasion, an imposition of the writer’s sensibility on the reader’s most private space.
Nel momento in cui la penna scorre sul foglio o i tasti compilano una sequela di lettere su uno schermo, oltre il diario segreto e gli appunti, c’è sempre un’altra presenza: chi legge. Chi scrive, con un sé più o meno ingombrante, deve tenere presente questa persona — e si percepisce se tale attenzione esiste o meno, davvero — in un sottile equilibrio tra esibizionismo e voyeurismo.
Musei Vaticani, Roma. Foto di Massimo Listri.
Negli ultimi giorni, mi sono imbattuta in parecchie riflessioni sullo scrivere, ce ne sono migliaia, certo, tuttavia queste due si sono infilate nella mia vita recente, come:
Uno scritto non è uno specchio. Scrivere è affrontare un volto sconosciuto.
— Edmond Jabès, Il libro della sovversione non sospetta, (trad. di Antonio Prete, Feltrinelli, 1982)
Oppure, ancora:
If I don’t write to empty my mind I go mad. As to that regular uninterrupted love of writing I do not understand it. I feel it as a torture, which I must get rid of, but never as a pleasure.
— Lord Byron, 1821 (riportato da The Romanticism blog)
Tra gli insegnamenti preferiti, quello che, in fin dei conti, mi guida in ciò che faccio da anni, giorno dopo giorno e negli ambiti più diversi, resta sempre quello del mio Maestro: scrivere è un atto di sovversione. Se vogliamo dirla tutta, un atto di sovversione che non deve e non può essere fine a sé stesso, inutile fino a che, in modo più o meno incisivo, non cambia il mondo, non lascia un segno.
Una colonna sonora
Jonny Greenwood
The Power Of The Dog (Music From The Netflix Film)
Dopo dodici anni, Jane Campion torna con un film e, per l’occasione, è Jonny Greenwood a dare un’anima sonora al West, come già accaduto con Il petroliere (There Will Be Blood) di Paul Thomas Anderson.
Il respiro orchestrale è ampio come lo sguardo che abbraccia i paesaggi sullo schermo, l’attenzione ai timbri strumentali raffinata e precisa, come l’evidenza data ai dettagli, va oltre la diegetica, trafigge i personaggi, scava nell’introspezione, inquieta, sospende, in sedici canzoni di una drammaticità lucente.
Nota a margine: Greenwood, polistrumentista e maestro delle colonne sonore, tesse le trame musicali anche di altri due nuovi film: Spencer di Pablo Larraín (in sala) e Licorice Pizza, riecco Anderson (in uscita italiana).
Un libro
Consigli a un giovane scrittore
di André Gide, traduzione di Anna Pensante (Luni Editrice, 2021)
Ispirato dai classici nell’epoca del trionfo delle avanguardie, un Nobel per la letteratura e la vita travagliata di un eroe romantico, per Gide non è necessario cercare a ogni costo l’originalità, con risultati più o meno discutibili, l’esempio dei grandi può indicare la giusta via da seguire.
Nel volume, rivolto a un immaginario giovane scrittore, Gide racconta di ispirazione, creatività, della disciplina necessaria per scrivere. E vivere.
«Polvere e cenere» tra libri bellissimi
Dieci libri, dal romanzo rosa al noir, freschi di stampa, per riprendersi dalla fine delle feste: a sceglierli per Grazia è Camilla Sernagiotto. Tra i consigli, ecco comparire anche Polvere e cenere.
Qui l’articolo completo, con tanti spunti di lettura interessanti:
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