#45. Festival
Di cosa parliamo quando parliamo di festival, ovvero la prima newsletter dopo il ritorno dal Primavera Sound 2022.
Ciao,
è di nuovo mercoledì, è di nuovo tempo di Dispacci.
Dopo una breve fuga a Barcellona, torno con in testa una frase di Ezra Pound, citata anche nella fiction dedicata a Letizia Battaglia, Solo per passione: «Quello che veramente ami rimane». Il verso vale un po’ per tutto, dovrebbe valere per le cose davvero importanti, che ci fanno andare avanti, giorno dopo giorno, nei fugaci attimi di bellezza vissuti tra mille difficoltà.
A tal proposito, oggi si parla di musica.
Di festival si studia e si dibatte, si scrivono articoli, saggi e trattati: i festival rappresentano un tema frequente in antropologia culturale ed etnomusicologia, dai siti d’informazione serpeggiano tra i corridoi universitari e contaminano le discussioni accademiche.
Qualche tempo fa, ad esempio, ho raccontato di , un frutto da cui si estrae un delizioso (pare) liquore: si chiama Oshituthi shomagongo, si tiene in Namibia ed è un tassello importante per la vita individuale e collettiva.
Insomma, un festival, nella più vasta accezione del termine, è molto più di un raduno: rappresenta un momento di forte coesione sociale, di recupero e trasmissione della tradizione, un’occasione di coinvolgimento per generazioni diverse nella condivisione del sapere. Un festival, per usare un’iperbole, è celebrazione identitaria e inno alla vita.
Foto di Gaelle Beri.
Un capitolo a sé rappresentano i festival musicali estivi: la celebrazione di rock, pop, elettronica, jazz in ogni forma, un rituale che accoglie migliaia di adepti. Disseminati in tutta Europa, ciascuno sfoggia il vessillo del proprio spirito, dal fango inglese di Reading alle stradine di Hasselt e Kiewit invase dalla folla per il Pukkelpop, in Belgio; dall’isola sul Danubio roccaforte del Sziget, a Budapest, per ad arrivare al Siren, la cui musica abbraccia i tramonti abruzzesi.
Tra i grandi festival europei, un posto speciale lo ha sempre occupato il Primavera Sound, in particolare l’edizione di Barcellona, tornato dopo due anni di stop dovuti all’emergenza sanitaria.
È il 2001 quando, nel Poble Espanyol, il villaggio spagnolo sul Montjuïc, nella capitale catalana, si accende l’idea: una rassegna di musica elettronica e indie, selezionata in base alla qualità della proposta. Negli anni, la piccola rassegna diventa il più importante festival di musica indie europeo e prende possesso del Parc del Fòrum; cresce, esporta il format all’estero, da Porto vola nelle Americhe, a Los Angeles, São Paulo, Santiago, Buenos Aires. La lista dei nomi in cartellone nelle varie edizioni è un’allucinazione in grado di mandare in stato di grazia qualunque appassionato, tra concerti — centinaia di concerti, sono oltre 600 quelli di quest’anno — che dal tardo pomeriggio proseguono fino all’alba.
Il Primavera Sound, come lo definisce Luca De Gennaro nella sua recensione comparsa su La Stampa (la migliore letta finora, al contempo lucida ed entusiasta) è «il festival per il quale compri il biglietto sulla fiducia prima ancora di sapere chi suonerà, prenoti case, stanze d’albergo e biglietti aerei di anno in anno».
Succede che, come si accennava, a causa della pandemia il Primavera venga cancellato per due anni, ma torni con una lineup solida e selezionata, grandi nomi e scelte di nicchia (gli italiani presenti sono tre: Lorenzo Senni, Iosonouncane e Lory D.).
Su cosa potrebbe mai cadere l’occhio di un antropologo culturale? Sulla gente, ovviamente, un popolo vario e variegato, molte coppie con bambini di pochi mesi, con tutta probabilità venuti al mondo quando i genitori avevano da poco acquistato il biglietto di un festival rimandato per due edizioni.
Nei giorni dell’evento, delle voci suggerivano decine di migliaia di presenze in più rispetto alla media delle ultime edizioni, presenze che hanno reso problematico il primo giorno. A criticità, pericolo e risentimento, l’organizzazione ha risposto con un cambio di rotta, tra interventi concreti (ad esempio, installando più punti acqua) e voglia di ricostruire: eccolo, il sentimento di comunione per qualcosa di più grande, lo sguardo oltre la contingenza. Un festival è anche questo: avere prontezza e solidità nel rispondere in tempo reale a ciò che non è possibile prevedere da un lato, dimostrazione di fiducia e comprensione dall’altro.
Il primo weekend del Primavera è finito, ma non il festival: mentre scrivo, la musica si è spostata nei locali e per le strade di Barcellona, per rientrare al Parc del Fòrum in vista del secondo weekend.
Perché andare a un festival, quindi? Perché macinare chilometri, trascorrere notti insonni, inseguire aerei e mezzi di trasporto vari? Perché la musica si vive nell’esatto momento, unico e irripetibile, in cui esiste; perché la musica è scambio, rispetto, confronto e unione, è un coro all’unisono di anime dissimili, un’armonia di intenti pur nelle rispettive unicità. Un festival musicale diventa così la versione migliore di come dovrebbe essere vissuta la vita.
Nick Cave And The Bad Seeds, foto di Sergio Albert.
Ascoltare: frammenti di Primavera
Sulla radio ufficiale del Primavera Sound e sul canale YouTube è possibile riascoltare e rivedere i concerti del festival, la reunion dei Pavement, le deflagrazioni dei Fontaines D.C., Beck e National che si alternano sul doppio palco principale, Nick Cave con i Bad Seeds, gli Einstürzende Neubauten alla luce del giorno, i Bauhaus in gran spolvero e il commiato sui Gorillaz, solo per citare alcuni episodi notevoli.
Qui si ascolta Radio Primavera Sound, mentre i video sono qui.
Raccontare: il metal (femminile) libanese
«Ogni volta che una donna vuole essere qualcosa di diverso da ciò che la società si aspetta, è sempre un problema». Lo dice Lilas Mayassi in una scena di Sirens, documentario di Rita Baghdadi che racconta la storia delle Slave To Sirens, band metal libanese tutta femminile, unica nel paese.
Per La 27esima ora del Corriere della Sera, ho intervistato la regista: il canto delle sirene diventa un inno alla libertà, alla consapevolezza di sé, alla musica come grido di ribellione e speranza nel futuro, un canto che nasce tra le macerie di un paese dilaniato dalla crisi, ma con una voglia di rinascere oltre ogni limite. L’articolo si legge qui:
Il “canto” delle Slave To Sirens: metal, libertà e consapevolezza nel Libano dilaniato dalla crisi
Polvere e cenere su Tgcom24
Sul sito di Tgcom24, Massimo Longoni firma una recensione di Polvere e cenere, il mio romanzo storico, e centra il punto scrivendo: «Il giallo storico è un genere non banale e che ha illustri predecessori. Materia insomma da maneggiare con cura. Cosa che la Colombo fa con sicurezza, con il valore aggiunto di parlare del passato per interpretare in controluce il nostro presente».
Una piccola anticipazione: a luglio tornano le presentazioni, in preparazione c’è una serata speciale, una notte di mezza estate intrisa di emozione.
Per il Dispaccio di oggi, è tutto.
Se eri al Primavera Sound, se vuoi raccontarmi i prossimi festival musicali a cui ti fionderai, se hai domande, consigli, se non dormi: scrivimi.
A presto,
Samantha
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Sono Samantha Colombo, etnomusicologa di formazione, digital editor ed entusiasta delle parole per professione: scrivo, su carta e online, e aiuto le persone a esprimersi attraverso la scrittura.
Sul mio blog puoi trovare un’intera sezione dedicata alla musica, tra recensioni, concerti e interviste.
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