#72. Deserti
Tra incontri nel deserto di Agafay, musicisti tuareg del Mali, blues del Sahara e tradizione gnawa.
Ciao !
Come stai? Eccoci con l’ultimo Dispaccio prima delle vacanze — mi raccomando, arriva fino alla fine, ci sono un paio di pensieri cui tengo molto — che è un dono per te: ti regalo un racconto, scritto dopo un momento speciale vissuto nel mio ultimo viaggio in Marocco, e un percorso musicale alla scoperta del blues del deserto.
Mi seguirai, da Timbuktu a Essaouira?
Rokia, la signora del deserto
Nel cuore del deserto, Rokia ha creato una casa, il tetto forgiato di stelle a indicare la via dei sogni, la sabbia sotto i piedi a donare la forza. Appare come una visione magica, mentre il sole tramonta sulle pietre dell’Agafay.
Arrivare lì, un punto incastonato nel nulla, non ci aveva preparati alla sorpresa. Tamesluht, il piccolo centro da cui siamo partiti, è un villaggio nel cuore del Marocco, lontano dalle strade affollate, incastonato tra gli ulivi e le rocce, i tetti della medina impreziositi dai nidi delle cicogne. Qui gli artigiani lavorano terracotta, seta di aloe, osso; in un palazzo del XVI secolo, ogni ospite è atteso da una tazza di tè alla menta, insieme ai racconti di una famiglia antica. In queste stanze, parliamo per la prima volta di dirigerci verso il deserto.
Così, abbandonati passo dopo passo strade, porte dipinte e comignoli fumanti, può accadere che, nel silenzio interrotto solo dal crepitare dei passi e dal rombo lontano dei quad, si mostri lei: la Signora del deserto. Rokia non parla il francese o altre lingue, conosce solo l’arabo, eppure occhi e gesti cesellano una lingua universale. Il suo è un nome sacro, mi spiegano, e tra le tante definizioni a colpire è quella che si rifà alla gentilezza, all’animo puro.
Vive in una casupola solitaria, grigia come la polvere, granitica come la sua tempra; vive sola, con poco, eppure accoglie gli stranieri tra teiere, bicchieri colorati, ciotole di frutta secca, invitandoli ad accomodarsi su un tappeto steso in cima a una collina, dove lo sguardo domina l’altopiano. L’Agafay è una creatura viva, i colori mutano col mutare della luce, splende candido al sole, diventa sale con le nuvole, striato di smeraldo dopo la pioggia.
L’incontro non ha bisogno di parole, Rokia sorride, sorride e danza. Indossa un golfino rosa confetto e il velo nero che le avvolge il viso — di un’età indefinita, scolpito nel tempo — mette in risalto due pupille che brillano come pianeti lontani, sconosciuti, ma che sanno accogliere.
La prima volta che ha incrociato il cammino della Signora, mi racconta Abdelghani, è stato per caso: ha scoperto che Rokia viveva con poche cose, pronte a essere condivise con chi passa del tempo con lei, fugaci attimi che restano eterni. Rokia è cuore che accoglie ed è, lei stessa, casa.
Tre cose
🔸 Tinariwen, i musicisti tuareg del Mali
Sono un collettivo di musicisti tuareg del Mali, cantano una vita in esilio e la ribellione alla tirannia, mescolano le tradizioni tuareg a rock e blues: il nome Tinariwen significa “deserti” in tamashek, e il loro desert blues ha conquistato il mondo.
Il fondatore del collettivo, Ibrahim Ag Alhabib, da bambino assiste all’uccisione del padre nel corso di una rivolta tuareg; cresce in un campo profughi in Algeria; è spronato a fondare una band in un contesto che sembra agli antipodi della musica: durante l’addestramento militare in Libia. Solo dopo aver combattuto al fianco dei ribelli tuareg, i Tinariwen depongono le armi e imbracciano gli strumenti.
Quando, agli inizi degli anni Duemila, partecipano al Festival au Désert di Essakane, nei pressi di Timbuktu, compiono il grande passo, registrano il primo disco The Radio Tisdas Sessions e il loro nome diventa leggenda.
Poco tempo fa è uscito Amatssou, registrato in una tenda piantata in un’oasi. L’album è fortemente ispirato ai disordini politici in Mali, e racconta le lotte tuareg contro l’estremismo islamico. Produttore del disco è Daniel Lanois, già al lavoro con artisti come Peter Gabriel e Bob Dylan, che compare in due brani suonando la pedal steel. Ci sono anche Fats Kaplin e Wes Corbett a violini e banjo, in un connubio ideale con la tradizione country e blues statunitense; un amalgama che, attenzione, non appiattisce il sound, bensì ne intensifica il colore, conferendo ai brani una nuova prospettiva, pur mantenendo ben salde le radici.
I ritmi sono complessi, le linee vocali si intrecciano, la musica diventa un linguaggio che supera i confini linguistici, stilistici e geografici per lanciare un messaggio di bellezza e libertà.
Alfieri del desert blues, sebbene questa etichetta, come spesso accade, non renda giustizia alle variegate tradizioni ed esperienze del Sahara, sono una band a cui affidare il proprio cuore.
🔸 Il blues del Sahara degli Ahl Nana
Una manciata di brani, registrati in uno studio di Casablanca all’inizio degli anni Settanta e poi, con il passare del tempo, dimenticati. Almeno fino a oggi.
Questa è la storia di una musica mai pubblicata, della talentuosa violinista Debya Mint Soueid Bouh e della sua famiglia di musicisti, gli Ahl Nana, all’epoca conosciuti come Orchestre National Mauritanien.
Cresciuta in Mali, nel crocevia di culture di Timbuktu, e virtuosa del rabab, il violino a una corda, Mint Soueid Bouh vive d’arte con i suoi cari in Mauritania; è la leader del gruppo e si occupa di comporre e arrangiare i brani. Per quanto la musica mauritana si leghi al tidinît, uno strumento simile al liuto, e alle storie raccontate dagli iggawen, i poeti cantori, nel novembre 1960 l’indipendenza apre le porte del paese agli strumenti occidentali e la famiglia non li disdegna affatto. Gli Ahl Nana acquistano, tra gli altri, una chitarra elettrica, una fisarmonica e un violino per inserirli nel repertorio. Così, pur affondando le radici nella tradizione, le canzoni assumono un sapore cosmopolita e disegnano uno stile unico, che rende il gruppo ancora più popolare.
Gli Ahl Nana suonano dal vivo, e parecchio, partecipano a trasmissioni radio, le persone conoscono a memoria i loro brani, ma registrare dischi non è così di moda e neppure di grande interesse per loro.
Almeno fino al 1971 quando, durante un tour in Marocco, sono invitati a esibirsi per il re Hassan II e il discografico Ali Boussif li nota, perdendo la testa per loro. Così, la famiglia si ritrova a Casablanca, negli studi dell’etichetta Boussiphone, a registrare un disco che sbiadirà nell’oblio. Poi, alcuni anni fa, la belga Radio Martiko scova negli archivi della Boussiphone, tra Bruxelles e Casablanca, le matrici di due dischi: tra le prime registrazioni in studio di musica mauritana, compaiono gli Ahl Nana.
Eccolo qui, il desert blues originale, splendente in una registrazione di oltre mezzo secolo fa, ad anticipare uno stile e un approccio che, nei decenni successivi, avrebbe spiccato il volo dal Nord Africa e conquistato milioni di appassionati, prendendo forma nelle opere di virtuosi come Ali Farka Touré, ma anche di artisti di fama internazionale come Tinariwen e Youssou N’Dour.
Ascoltando questo disco, si è subito conquistati da un’armonia celestiale, dal canto di matrice tradizionale che si muove sinuoso sulle linee di chitarra e violino, tra le punteggiature al pianoforte.
🔸 La musica gnawa dal deserto al mondo
Il piccolo villaggio di Khamlia, nel Marocco sudorientale, è conosciuto come la porta meridionale del Sahara. Qui, tra le case sfiorate dalle dune del deserto, da secoli è custodita e tramandata la tradizione gnawa (scritto anche gnaoua): nelle scuole di musica e danza, il Maâlem, il “maestro”, guida i propri allievi imbracciando il guembri, un basso acustico simile a un liuto di grandi dimensioni, con due o tre corde e una cassa di legno ricoperta di pelli di capra o dromedario.
Musica ipnotica e danze ininterrotte raccontano una storia antica, che rivela il dolore degli antenati, le sofferenze della schiavitù che ha visto deportare in massa, dall’Africa all’Europa, donne e uomini da paesi come Guinea, Mali, Niger, Senegal.
Dai canti dei discendenti degli schiavi, che incontrano le sonorità del sahel e magrebine, nasce una tradizione musicale che risale al XVI secolo, e che tiene in vita sotto altra forma pratiche di culti animisti in una società islamizzata: sacro e profano, passato e presente si uniscono e sbocciano nell’arte.
Seguendo la melodia del guembri, il t’bel, un tamburo suonato con le bacchette, e le garageb magrebine, grandi nacchere di ferro suonate dai danzatori, scandiscono un ritmo ipnotico, a dir poco ultraterreno.
Negli ultimi decenni, anche grazie a manifestazioni internazionali e all’incontro con altri generi musicali, primo su tutti il jazz, la gnawa è diventata popolare in tutto il mondo, e nel 2019 è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Tra gli eventi più noti, lo scorso giugno è tornato dopo tre anni di stop il Gnaoua World Music Festival di Essaouria: un appuntamento storico che si snoda tra la spiaggia e le vie cittadine con decine di concerti, proponendo nell’ultima edizione una riflessione su identità e appartenenza, sull’accettazione dell’altro.
Nota a margine: Asmaa Hamzaoui è la prima musicista gnawa donna del Marocco. Istruita dal padre tra le mura domestiche, ha debuttato nel 2012 rivelando tutto il suo talento.
Conversazioni con chi ascolta, osserva, immagina, scrive:
Sara Mostaccio, Io Viaggio in Poltrona
Lei è
, ti prende per mano e ti accompagna in giro per il mondo con la sua newsletter , tra libri, visioni e riflessioni: è un’anima ispirata capace di ispirare, e ora iniziamo un viaggio con lei.Prima domanda, a bruciapelo: chi sei e cosa fai nella vita?
Di me dico che scrivo, leggo e viaggio, quando possibile tutto insieme. Sono traduttrice, content writer, giornalista freelance e podcaster in erba. Quando non traduco o scrivo contenuti per altri, racconto soprattutto donne e viaggi.
Poche settimane fa è uscita la guida della Sicilia che ho scritto per Lonely Planet mentre per Elle scovo storie di donne che possono esserci di ispirazione, dalle poete dimenticate alle grandi viaggiatrici del passato.
Il mio amore per la Grecia invece lo riverso nel podcast Filakia che spedisce cartoline sonore da Atene. Sono storie nascoste, dimenticate o bizzarre. Ho scelto apposta di non raccontare la Atene classica già nota. Filakia in greco significa baci ed è così che chiudo tutte le cartoline che spedisco, quelle di carta. Sì, le spedisco ancora!
E ogni volta che vado in Grecia le spedisco da lì, scritte in greco, a tutti i follower di @filakiapodcast che me ne chiedono una.
Io Viaggio in Poltrona è un progetto stupendo, ti consente davvero di evadere e si percepiscono passione e competenza: come nasce?
Grazie! La mia speranza, quando tutto è cominciato, era proprio riuscire a far sentire le persone altrove senza muoversi dalla poltrona. Che poi è anche il modo in cui viaggio io quando non posso partire per davvero. Non a caso il progetto si chiama così. Ho una passione per la letteratura di viaggio. Prima della newsletter però è nato il sito omonimo ioviaggioinpoltrona.it e quando è nato... era su Instagram.
Era marzo 2020, era appena stato annunciato il lockdown ed eravamo tutti spaesati, spaventati e costretti all'immobilità. Ogni sera, per tutti i 55 giorni del primo lockdown, ho raccontato nelle mie stories un libro per viaggiare senza muoversi da casa. Poi ho deciso di posizionarli tutti su una mappa perché rimanessero accessibili.
Da lì è nato il sito com’è oggi: una mappa interattiva su cui trovare libri di viaggio su ogni angolo del mondo. Ce n’è uno nuovo ogni lunedì. Sempre lì, ma nella sezione Diario, racconto anche le mie letture non correlate al viaggio e i podcast che ascolto e consiglio.
La newsletter inizialmente era un modo per rilanciare gli articoli del sito e raccogliere gli spunti a tema che trovavo durante i miei viaggi in poltrona al pc ma era discontinua e, lo ammetto, troppo lunga! A Maggio ho deciso di “ristrutturarla”. Ora ogni numero contiene un luogo reale, un luogo immaginario, un itinerario tra i libri e un collegamento — immancabile! — con la mia amata Grecia.
Ho l'innamoramento geografico facile, la Grecia rientra nei luoghi da me adorati: cosa rappresenta per te?
Sai quella frase, che qualcuno attribuisce a Carlo Magno ma non si sa chi (o se) l’abbia detta davvero, che dice «Chi parla un'altra lingua possiede un’altra anima?». La Grecia è la mia seconda anima e anche quella che di me mi piace di più! Lingue ne parlo 5 ma è in greco che mi sento a casa mia. Sarà perché il posto in cui sono nata, la costa della Sicilia orientale, era Magna Grecia? Sta di fatto che non so più dire se amo la Grecia perché parlo greco o se ho imparato il greco perché amo la Grecia. La mia preferita è quella più recondita, interna, dei paesini sperduti. Non che mi dispiacciano il mare e le isole, tutt’altro! Ma sono più affezionata alla Grecia continentale che non finisce quasi mai su Instagram. E alle sue montagne. Uno dei miei progetti degli ultimi anni è di scalare tutte le montagne mitiche della Grecia. Ho cominciato con l’Olimpo, ovviamente! Al momento sono a quota 5. Ne ho di strada da fare!
Ora parliamo di musica: la tua colonna sonora ideale per un viaggio?
Scelgo quasi sempre funk e R&B, che ho riscoperto quando ho iniziato a pattinare due anni fa, ma anche il rock delle origini degli anni ‘50-‘60. Somigliano molto al ritmo e allo spirito dei miei viaggi in solitaria. Cose come Happiness di Allen Toussaint. Tra le mie passioni recenti invece ci sono Samantha Fish e Gary Clark Jr. Quando viaggio con il mio compagno alla colonna sonora pensa lui, la sua curiosità musicale è sterminata e mi sorprende sempre. Ultimamente spesso è avant-jazz o afrobeat.
E per quanto riguarda i libri, invece, quali mettiamo in valigia?
Visto che sto giusto preparando la valigia, ti dico cosa metto nella mia. Farò un viaggio itinerante nella Romania più remota usando solo mezzi pubblici e con lo zaino come unico bagaglio quindi leggerò su Kindle:
Fiabe romene di magia (Bompiani), perché porto sempre un libro a tema con la destinazione.
Macchia di Esther Kinsky (Il Saggiatore), il cui sottotitolo è Il romanzo dei luoghi e non c'è miglior momento per leggerlo che viaggiando.
Segreti e rivelazioni di Eri Ritsou (Crocetti), figlia del grande poeta Ritsos, scrittrice anche lei, che racconta la storia di una famiglia sull'isola di Samos.
Quando non potrò leggere, perché sarò su una marshrutka e soffro di mal d'auto, ascolterò in ebook:
Storie naturali di Primo Levi (Einaudi) per scoprire un Levi inaspettato, fantascientifico.
Le stazioni della luna di Ubah Cristina Ali Farah (66thand2nd) ambientato a Mogadiscio, su un pezzo di storia che l'Italia ancora nasconde sotto il tappeto.
Per oggi è tutto, i Dispacci vanno in vacanza e tornano a settembre!
Prima di chiudere però ci sono ancora un paio di appunti, un anniversario e una riflessione, una cosa allegra e l’altra decisamente meno.
Partiamo con leggerezza: oggi Mick Jagger dei Rolling Stones spegne 80 candeline, testimoniando che il rock fa davvero bene alla vita.
Passando invece alle questioni serie, non posso ignorare i giorni complessi che stiamo vivendo, nel pieno di un disastro climatico e ambientale, in un pianeta flagellato dal ghiaccio e dal fuoco: viaggiare, ascoltare musica, raccontare storie, qualsiasi cosa amiamo fare, niente è avulso da ciò che stiamo provando sulla nostra pelle. Continuiamo a informarci, a confrontarci e unirci, a scegliere in modo consapevole cosa mettere in tavola, come spostarci, dove aprire un conto in banca e così via, senza dimenticare che la cura per il nostro ambiente passa sia dalle nostre piccole scelte individuali sia, e forse soprattutto, dalla politica. Non abbandoniamo la speranza, ma foraggiamola con determinazione e consapevolezza.
Nelle prossime settimane, concediti del riposo, regala sorrisi, afferra ogni attimo di incontenibile bellezza che ti capita per strada e, se ti va di raccontarmi qualcosa, scrivimi (mi trovi anche su Instagram), spediscimi una cartolina: mi fa davvero piacere sapere di te.
A presto, buona estate!
Samantha
PS: se non sai ancora dove andare, ti consiglio le esperienze di turismo responsabile di Viaggiemiraggi. Dai un’occhiata alle loro proposte, non ti deluderanno.
Ogni volta è una sorpresa scoprire nuove musicalità con Dispacci, grazie Samantha! E la stessa cosa vale per le persone ospitate negli accenti: che bella la newsletter "Io viaggio in poltrona".
Buona estate, Samantha ☺️