#79. Clima
La musica come catalizzatore di cambiamento; dati che diventano suoni, la melodia dei ghiacci groenlandesi e una canzone antartica.
La musica racconta i grandi cambiamenti, è strumento per mappare nuove forme artistiche, dialoga con la scienza in equilibrio tra arte e divulgazione.
Può la musica essere più di una semplice colonna sonora per raccontare la crisi climatica, essere uno spazio per instillare in noi il cambiamento?
Ciao !
Come stai? Le riflessioni di oggi nascono seguendo i lavori della COP28 di Dubai, raccontata attraverso le professioniste e i professionisti che ogni giorno scrivono, registrano podcast, realizzano servizi. Non si tratta solo di snocciolare informazioni, bensì di ricordare quanto il tema del futuro, nostro e del pianeta, ci tocchi nel profondo.
Il Dispaccio di oggi non arriva dagli Emirati Arabi, ma ti porta ad ascoltare l’affascinante e tremenda melodia della crisi climatica; la sonificazione dello scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia; una canzone dedicata all’Antartide firmata da un certo musicista inglese.
Quindi, iniziamo.
La musica del cambiamento
Ogni giorno che trascorre senza un progetto condiviso o un’azione concreta per contrastare le conseguenze della crisi climatica, aumenta il rischio di trovarsi di fronte a danni irreversibili per la sopravvivenza del pianeta e di noi tutte e tutti, in quanto umanità.
I cambiamenti climatici degli ultimi anni, sempre più repentini e incisivi, hanno influenza diretta su ogni sfera della nostra vita, comprese dinamiche e tradizioni sociali e culturali. Lo ha ben evidenziato, lo scorso anno, la mostra Rethink Nature curata da Kathryn Weir e Ilaria Conti al Madre di Napoli: l’arte contemporanea, in quella sede, è diventata uno spazio per ripensare, grazie a uno sguardo composto da diversi vocabolari creativi, l’urgenza di creare nuove relazioni e guardare al futuro con nuovi valori.
Che ruolo ha la musica in questa rivoluzione? Può diventare una colonna sonora per raccontare le evoluzioni del clima? Anzi, ancora meglio: può essere veicolo di idee e strumento di cambiamento? Alcuni anni fa,
, giornalista scientifico e ambientale del New York Times (nonché musicista), ha proposto una riflessione importante in tal senso, che può valere per tutti i grandi temi della contemporaneità, dalle guerre alle questioni di genere:Ci sono alcuni argomenti, situazioni e sentimenti che gridano di essere cantati invece che scritti.
Andrew C. Revkin, “Why singing, not typing”
In effetti, oltre a scrivere, Revkin ha poi anche inciso un disco, ma questa è un’altra storia.
La letteratura sul tema è frammentaria e non così diffusa, almeno fuori dalla bolla degli appassionati. Esiste l’ecomusicologia, un’area di studio che focalizza l’attenzione proprio sul rapporto tra musica, suono e ambiente naturale. Però è la musica che ascoltiamo ogni giorno, in streaming o alla radio, il primo punto di interesse, quello dove possiamo gridare e incontrare chi ha voglia di ascoltare quel grido.
Di cambiamento climatico si è iniziato a cantare negli anni Sessanta e Settanta, anni vibranti di proteste. Tra i tanti esempi, basti pensare a brani come Big Yellow Taxi di Joni Mitchell, che esordisce intonando “They paved paradise, put up a parking lot”, “Hanno asfaltato il paradiso e ci hanno costruito un parcheggio”. Il filone arriva fino ai giorni nostri, ad esempio con una All The Good Girls Go To Hell di Billie Eilish, che racconta di una California devastata dalle fiamme.
Chi fa musica ha la possibilità di raggiungere un pubblico più o meno vasto ed eterogeneo, trasformare l’esperienza artistica in pensiero politico, dall’ascolto individuale all’esperienza collettiva di un concerto.
Il potere della musica consente non solo di comunicare informazioni e notizie, di raccontare storie, ma anche di veicolare idee tramite le emozioni, facendo presa nella coscienza e scavando in profondità.
Dalle canzoni pop in cima alle classifiche ai cantautori popolari delle zone più remote del mondo, dalle colonne sonore composte ad hoc per i documentari ai complessi esperimenti di sonificazione della natura e dei dati, la musica — con le sue caratteristiche di emozionalità, visibilità, universalità del linguaggio e spirito di aggregazione — rappresenta un catalizzatore di cambiamento. È una parte del tutto, un tassello nel puzzle della nostra consapevolezza, uno sguardo critico al presente, ma anche al futuro, carico di speranza.
(Puoi leggere l’articolo di Andrew Revkind su Medium).
Qual è il suono del clima?
La pioggia tamburella al ritmo della marimba, le variazioni delle temperature scivolano sul canto dei clarinetti, lo sciabordio delle acque oceaniche fluisce tra i violini: in poche parole, è possibile ascoltare i dati relativi ai cambiamenti climatici come se stessimo assistendo a un concerto.
D’accordo, questo video ha qualche anno, ma rende bene l’idea di come sia possibile tradurre il monitoraggio degli scienziati — cose come i livelli di anidride carbonica o la temperatura media in un dato periodo di tempo — in puro suono.
La sinergia tra scienza e arte è in grado di tradurre, per le nostre orecchie e i nostri cuori, il cambiamento in atto. E forse renderlo più vicino all’umana sensibilità, incastrarlo in una scala di valori che sembra non riuscire a contenere l’inimmaginabile.
Il canto dei ghiacci in Groenlandia
Che voce ha un ghiacciaio che si scioglie? Per il geologo marino e geofisico Marco Tedesco e il musicologo Jonathan Perl, è possibile ascoltare il lamento dei ghiacci attraverso il linguaggio universale della musica. Alcuni anni fa, hanno infatti realizzato Greenland Melt Music: in breve, la sonificazione dei dati raccolti dallo scioglimento dei ghiacciai groenlandesi.
I due hanno lavorato su dati come le temperature giornaliere e annuali, il tasso di scioglimento e il rapporto di albedo (in estrema sintesi, l’albedo indica il potere riflettente di una superficie: se il ghiaccio si scioglie, si ha una variazione). I dati sono stati poi tradotti in suono e organizzati in una composizione.
Si tratta di un altro esempio di collaborazione tra musica e scienza per creare paesaggi sonori (o sonificazioni) in grado di tradurre dati nel linguaggio musicale e, per conseguenza, in emozioni.
Giù le mani dall’antartico!
Hands off the Antarctic è un pezzo strumentale di Thom Yorke dei Radiohead, scritto in sostegno di una campagna di Greenpeace a protezione dell’Oceano antartico.
Per circa sei minuti, la canzone si muove in un’ambientazione malinconica e suggestiva, che evoca le immagini desolate e maestose dell’Antartide, dei mari che la circodano e della fauna che in essa prospera. Le pulsazioni solitarie sono gradualmente avvolte da un tappeto strumentale ed elettronico, l’atmosfera è sospesa.
Il brano ha qualche anno, eppure è sempre tremendamente attuale. Se posso darti un consiglio: prenditi qualche minuto, chiudi gli occhi e ascoltala.
Il Dispaccio di oggi finisce qui, con un paio di letture che vorrei condividere con te:
a proposito di ambiente, nella sua newsletter
, racconta Come sta andando la COP28 di Dubai, in cinque punti;tra le sue
, ricorda invece l’importanza delle Cose che non possono avere una scadenza, in barba ai trend del momento.
Ci ritroviamo, come al solito, tra un paio di mercoledì per l’ultimo appuntamento dell’anno. Anzi, mi piacerebbe chiederti una cosa: qual è stata la tua musica del 2023? Fammi sapere, sono curiosa!
Grazie a Silvia per la revisione.
A presto, stai bene.
Samantha
Grazie per la citazione Samantha! 🙏🏻 Di trend non so, ma di barba me ne intendo sicuramente 😁
This is a welcome dive into analysis of the role of music in climate-focused environmentalism. Can songs be more than a soundtrack? I first asked this in The New York Times long ago - here in 2008 https://archive.nytimes.com/dotearth.blogs.nytimes.com/2008/08/08/music-of-this-sphere/ and again in 2010 https://archive.nytimes.com/dotearth.blogs.nytimes.com/2010/04/23/does-h-sapiens-need-a-new-tune/ and again on Sustain What: https://revkin.substack.com/p/songs-are-stories-too An important question to explore - AND to test.