#83. Tracce di Sanremo
Tra stelle internazionali, l'attivismo di un pianista siriano-palestinese, la ex Jugoslavia e montagne verdi.
«Non si stancò mai di ripetere che il paesaggio sonoro che aveva scoperto in Italia era il più ricco, il più sorprendentemente vario e originale da lui mai incontrato» scrive Anna Lomax nella prefazione al libro del padre Alan Lomax, entrambi sono antropologi ed etnomusicologi, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955 (Il Saggiatore).
In quell’anno italiano, Lomax scova e registra, insieme a Diego Carpitella, centinaia di canti e melodie. Alla fine della spedizione, corre agli uffici della Rai, racconta delle radio locali statunitensi che trasmettono musica del territorio e offre il tesoro sonoro appena scoperto per fare altrettanto. Un’idea stupenda, che tuttavia viene scartata. Per la Rai, da qualche anno, la musica ha infatti un solo nome: il Festival di Sanremo.
Ciao ! Oggi ci fiondiamo nella bolgia del Festival della Canzone Italiana, ma con una prospettiva un po’ particolare: Nicholas David Altea firma un editoriale sulle stelle internazionali che hanno brillato al Festivàl; insieme a me ci dirigiamo invece alla scoperta delle Frontiere sonore a tema, tra Siria, la fu Jugoslavia e catene montuose. Vedrai.
Sanremo international
di Nicholas David Altea, giornalista e social media manager per Wired Italia e Rumore
Chi ha vinto Sanremo nel tuo anno di nascita? Nel mio i Ricchi e Poveri con Se M’Innamoro. Parliamo del 1985, l’annata della grande nevicata. Ospiti internazionali:
Duran Duran, Sade, Spandau Ballet, Bronski Beat, Jermaine Jackson e Pia Zadora, Gino Vannelli, José Luis Moreno e Rockfeller, Frankie Goes to Hollywood, Village People, Chaka Khan, Patty Brard, Mr. Mister e Talk Talk.
Sembra una di quelle compilation anni Ottanta che si metteva in auto. E invece no, tutto vero. Non tutto clamoroso, ma averceli degli ospiti di questo livello, oggi.
I Talk Talk di Mark Hollis avevano un rapporto stretto con l’Italia, soprattutto in tv, da Superflash nel 1984 con il solito Mike Bongiorno (pioniere nelle ospitate di band dal crescente successo, vedi Depeche Mode); Deejay Television e, per l’appunto, due anni a Sanremo (1985-1986). Nell’ultima apparizione l’occasione è quella della pubblicazione del nuovo The Colour Of Spring.
Dopo l’ubriacatura synth pop di It's My Life cambiano muta, e questo è per molti il disco-crisalide che li porterà all’altro capolavoro di un post rock inconscio come Spirit Of Eden. All’Ariston nel 1986 – con il playback obbligatorio e l’assenza dell’orchestra – i Talk Talk si esibiscono con Life’s What You Make It. Mauro Micheloni e Loretta Goggi che li annunciano. La scritta illuminata Sanremo Totip dietro alla band è una meraviglia.
(Non badate al video, hanno sbagliato l’anno, è il 1986).
Stesso anno, altra prelibatezza ancor più nascosta, anzi, dimenticata: i Prefab Sprout, deliziosa pop rock band inglese che con il disco Steve McQueen ha segnato il giro di boa degli anni Ottanta. Appetite è l’essenza sofisticata – il termine sophisti-pop ne piega in parte il loro suono – di un pop che abbraccia altro, che sia jazz o soul.
Dal 1987 per alcuni anni è poi arrivato Sanremo Rock, il PalaRock: più libertà di suono ma un palco che non era l’Ariston. Una sorta di riserva indiana, per così dire.
Andiamo avanti nel tempo, è il 1996, ci sono i Blur e ce li ricordiamo, ma non tutti si ricordano dei Kula Shaker con Tattva (estratta dal loro album d’esordio, K) per proseguire l’ondata post britpop. Loro, a differenza di tutti gli altri, decisamente più psichedelici e influenzati dalla musica indiana. Insomma, Mike Bongiorno che annuncia «I Kula Shaker… a beneficio di voi giovani» valeva il prezzo del canone.
Balzo in avanti, così, per vedere come è cambiato tutto. Sanremo 2001, l’anno di Elisa e dei Gazosa. Ospiti internazionali: i Placebo che spaccano amplificatori e strumenti, e il “pericoloso” Eminen: il non saper trattare e introdurre il rap in Italia è lampante già dallo sketch con Enrico Papi e Massimo Ceccherini, che non fa affatto ridere. Solo Raffaella Carrà, che aveva una visione e una sensibilità internazionale, riesce a dare un minimo di credibilità alla situazione. Eminem – per la prima volta in Italia – si presenta con i D12 e fa un medley (I’m Back, Purple Hills e The Real Slim Shady). Ovviamente montano mille polemiche sul testo di Purpe Pills: un brano che parla del piacere di farsi di purple pills (pillole viola), golden seals (sigilli dorati) e mushroom mountain (montagna di funghetti), non poteva non smuovere gli animi addirittura della Procura della Repubblica. Finita l’esibizione scappa subito dietro le quinte, Raffa lo richiama e lo prende per mano. Lui è imbarazzato come un bambino alle elementari richiamato alla lavagna. Ora capiamo perché poi ci è ritornato per il primo vero concerto live solo 17 anni dopo, nel 2018.
(Fra gli ospiti c’era Russel Crowe, tutto torna, anche Massimo Decimo Meridio come quest’anno).
2014. C’è un ragazzo belga, longilineo, altissimo, dinoccolato, nato da papà ruandese e mamma belga. In quel momento sta scalando le classifiche d’Europa. Mette assieme rap, elettronica e chanson française. Adora Adriano Celentano, per lui è il primo rapper di sempre. Lo omaggia entrando sul palco dell’Ariston imitando i suoi gesti e tic. Formidable la canzone, formidabile Stromae. Fenomeno.
Frontiere sonore
Il pianista che ha sfidato la guerra
La sua storia, raccontata tra le pagine de Il pianista di Yarmouk (La Nave di Teseo), inizia nel campo profughi palestinese di Damasco, dove è nato e ha vissuto fino a che la guerra non lo ha costretto a fuggire. Ancora prima, le note del suo pianoforte sono state la colonna sonora di video che rivelavano una Siria ridotta in macerie.
Aeham Ahmad è nato nel 1988, la sua famiglia si è stabilita a Yarmouk quarant’anni prima in seguito alla Nakba. Sin da piccolo ha lavorato nel negozio di strumenti musicali del padre, un violinista cieco; la passione per la musica lo porta a diplomarsi al conservatorio e non viene sopita nemmeno dalle bombe, anzi: diventa uno strumento affilato di denuncia, che porta con sé durante la fuga in Europa.
Alcuni anni fa, l’artista si è esibito a X-Factor con una Mad World dei Tears For Fears e il suo brano I Forgot My Name. Oggi arriva a Sanremo e, nella serata dedicata a cover e duetti, affianca Elodie in Adesso tu di Eros Ramazzotti.
Storia di un festival oltrecortina
C’è un libro di qualche tempo fa dal titolo eloquente: Con ventiquattromila baci - L’influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia 1955-1965 (Bonomia University Press) scritto da Francesca Rolandi.
Tra le sue pagine, sorprende notare non tanto l’esistenza di un fitto scambio culturale tra l’Italia e l’allora Jugoslavia, quanto piuttosto la tenacia nell’attraversare i confini, in modi più o meno legali, e la consistenza del fenomeno: accanto alla televisione, radio, dischi e musicassette hanno avuto un ruolo da protagonisti, e il nostro paese è stato un vero e proprio filtro verso il cosiddetto blocco occidentale.
Due in particolare sono i centri di gravità musicale: i luna park che, negli anni Sessanta, hanno travasato le influenze italiane in terra jugoslava, una versione in salsa capitalista delle antiche fiere; e Sanremo. Ebbene sì, il Festival della Canzone Italiana è stato una matrice per diversi corrispettivi balcanici — come il festival di Opatija, condotto anche da Pippo Baudo nel 1967 — per promuovere una canzone jugoslava ispirata ai modelli internazionali (amati pure dal maresciallo Tito, non dimentichiamolo), ma con profondo e devoto spirito autarchico.
Quel che resta delle Montagne verdi
Il caso è stato aperto da Luigi Torreggiani per il quotidiano online L’Altra Montagna: è passato più di mezzo secolo da quando Marcella Bella cantava di Montagne verdi a Sanremo, oggi qualcuno si ispira ancora alle terre alte?
Per cercare una risposta, Torreggiani ha analizzato i testi di tutte le trenta canzoni in gara, senza tralasciarne una, per capire se siano presenti dei riferimenti a ghiacciai, crepacci, pascoli, stambecchi, qualsiasi cosa possa ricordare le alture. Il risultato? Poco incoraggiante, con alcuni guizzi degni di nota, come Rose Villain che, per vincere facile, cita la vetta più imponente di tutte: l’Everest.
L’analisi tragicomica dei testi di Sanremo (che puoi leggere cliccando qui oppure sull’immagine) è un bel pezzo da leggere e da cui trarre ispirazione: e tu, quale tema cercheresti nelle canzoni sanremesi?
A me — anche in memoria delle melodie catturate da Carpitella e Lomax, rispedite al mittente e ora conosciute da pochi appassionati — piacerebbe intercettare più suoni che ricordino chi non ha voce, nel tentativo di far riaffiorare esistenze dimenticate o troppo scarsamente rappresentate. E qualcosa sembra stia accadendo, no?
Il Dispaccio di oggi, nella sua nuova veste che spero apprezzerai, finisce qui.
Ma dimmi: chi ha vinto Sanremo nel tuo anno di nascita? Hai cercato qualcosa in particolare nelle canzoni? Lo hai poi trovato? Raccontamelo.
Ci ritroviamo qui tra un paio di settimane. Aspetto tue!
A presto, stai bene.
Samantha
Ma che bello leggere anche Nic qui su Dispacci! Ottima puntata :)
Nel mio anno (1983) vinse Tiziana Rivale, seguita da Donatella Milani e Dori Ghezzi 💕un’edizione di donne sul podio.
Grazie Samantha per questo numero appassionante .