#84. Intervista alla BabelNova Orchestra
Se il mondo può essere cambiato cominciando dalle piccole cose, perché non iniziare dalle note?
Ebbene sì, questo è un Dispaccio speciale che inaugura una stagione di interviste musicali.
Ciao !
Prima di vedere la BabelNova Orchestra sul palco di Sanremo insieme a Dargen D’Amico, ho incontrato il bassista e contrabbassista Pino Pecorelli: abbiamo chiacchierato sulla bellezza della musica come spazio d’incontro e ascolto.
Se il mondo può essere cambiato cominciando dalle piccole cose, e ce ne sarebbe davvero bisogno, perché non iniziare dalle note?
Fare musica per cambiare il mondo
Al telefono con Pino Pecorelli, basso e contrabbasso per la BabelNova Orchestra, abbiamo chiacchierato del valore assoluto di incontro, ascolto e meraviglia.
Sai come può la musica descrivere la complessità del mondo? Attirando l’attenzione con chitarre elettriche acuminate, innestando su di esse la lucentezza degli ottoni in un guizzo jazzistico, pescando nella tradizione sufi e abbracciando la frenesia mariachi, senza perdere d’occhio le nuove frontiere urban e dub.
La BabelNova Orchestra è un ensemble di dodici musicisti, diverse le generazioni, diverse le origini geografiche, che fa dell’incontro tra linguaggi, tradizioni e della rilettura del presente attraverso il suono il suo vessillo.
Ho raggiunto al telefono Pino Pecorelli mentre si trova a Sanremo con la band e Dargen D’Amico, con cui si esibiranno sul palco in un omaggio a Ennio Morricone nella serata dei duetti. Così è nata una chiacchierata sulla musica come strumento per cambiare davvero il mondo.
Iniziamo col dire che, come prima cosa, mi ha colpito il vostro nome: già dalla parola BabelNova si intuisce la presenza di lingue e linguaggi musicali diversi nella vostra esperienza.
BabelNova è tante cose, cioè lingue, linguaggi, mille modi diversi di relazionarsi con la musica. Di fatto è il percorso di questi musicisti in vent’anni di condivisione dei codici musicali, arrivando da un altro gruppo, l’Orchestra di Piazza Vittorio. Nel momento in cui altri musicisti e io siamo usciti da quel gruppo per crearne uno nuovo, ci siamo messi davanti alla necessità di confrontarci con un tessuto sociale e musicale che negli anni è radicalmente cambiato: per esempio, vent’anni fa il concetto di seconde o terze generazioni non esisteva. Oggi, un figlio di immigrati ha vinto due volte il Festival di Sanremo, sovvertendo totalmente l’idea che lo straniero faccia musica straniera, e così i suoi discendenti.
Ci siamo trovati a reinterpretare un approccio musicale etnico in un contesto in cui la musica etnica è diventata parte integrante del mainstream. A Sanremo, ad esempio, si sentono tranquillamente una cumbia cantata in italiano o ritmiche africane sotto altri pezzi e così via, ma l’ascoltatore medio le identifica come sonorità normali: è un percorso musicalmente internazionale. Così ci siamo detti che forse questo nome raccontava alla perfezione l’idea di provare a immaginare una una Babele di suoni dove non si ambisce, come nella lettura religiosa, alla presunzione di avere un unico linguaggio; la nostra presunzione è quella di cercare di valorizzarli tutti e trattarli tutti allo stesso modo.
A tal proposito, mi trovo spesso a ragionare di integrazione e inclusione, ma il nostro presente, da un punto di vista sia sociale sia politico, sembra piuttosto complicato in questo senso.
Lo è, tantissimo, a un livello politico, come dici, tu laddove per politico intendo di gestione della della società. In Italia, così come in tutta Europa, c’è una società compiutamente multietnica, gli immigrati da anni ormai rappresentano il tessuto produttivo del Paese a tutti i livelli; per un bambino è normale andare in una scuola insieme ad altri bambini che hanno genitori originari del Bangladesh o del Sudafrica. La scuola multietnica non è niente di strano, è una cosa assolutamente normale su cui tuttavia non ci si interroga chiaramente. L’incapacità, spesso, di chi gestisce la cosa pubblica di immaginare dei percorsi inclusivi e sensati, soprattutto in relazione ai fenomeni migratori più complicati, cioè con persone che arrivano in condizioni di maggiore disagio, come dalle traversate nel Mediterraneo, fa sì che il clima di tensione sia insopportabile.
C’è soltanto da migliorarla, la società, se si permette a chi arriva qui di poter essere ciò che è: ci sono tante persone che arrivano in Italia con competenze molto specifiche, ma che non possono sviluppare e mettere a disposizione perché la politica non lo consente.
Pensiamo agli esempi virtuosi in Calabria di Mimmo Lucano o di tantissime comunità, associazioni, cooperative e strutture che hanno un approccio valorizzante per l’individuo. Noi cerchiamo di fare tutto ciò con la musica, ed è più facile avere una narrazione di questo tipo perché non c’è un approccio gerarchico. Cerchiamo, nel nostro limite, di provare a essere un simbolo, poi non abbiamo la ricetta magica per raddrizzare le contraddizioni sociali.
Mi viene una prima riflessione: premetto che per me la musica può cambiare il mondo; in che modo, secondo te, può essere una soluzione per far percepire l’integrazione come positiva?
Guarda, io sono d'accordo. La musica è una forma d’arte immediata, che ha la forza di anticipare il cambiamento.
Credo fortemente che la musica, e l’arte in generale, possa cambiare il mondo e aiutare le persone a capire l’importanza dell’incontro.
Non si fa musica da soli, si fa incontrando altre persone che condividono con te un percorso; e quando ci si incontra, ci si ascolta. Come sai, se non ascolti chi ti sta accanto mentre suoni, non vai da nessuna parte. E quando ci si incontra e ci si ascolta, si mettono assieme sfumature di persone che hanno un percorso umano e una visione dell’arte totalmente diverse. E da quell’incontro nasce sicuramente qualcosa di positivo.
Purtroppo questo è un Paese che sulla musica è sempre meno attento in generale, a parte in questa settimana, quando invece una maggiore attenzione costante durante l’anno, e non necessariamente collegata alla gara sulla canzone o ai format più competitivi, come quelli televisivi, di certo aiuterebbe gli esseri umani essere più sereni e a volersi bene.
Noi cerchiamo nella musica risposte positive ai nostri problemi, alle nostre tensioni, e la possibilità di poterci confrontare più spesso aiuta.
Oramai gli spazi per suonare sono sempre minori e sono sempre più collegati al profitto e questo chiaramente non può funzionare, alla lunga.
Hai detto anche un’altra cosa importante, l'attenzione all’ascolto. Forse è uno dei problemi maggiori della società, questo scarso ascolto, questa vittoria dell’io sull’altro.
Sì, hai dieci secondi per dire una cosa, che magari dovresti dire in dieci minuti, e in quei dieci secondi devi usare le parole migliori possibili, lucidate perfettamente. Però, se il tempo dell’ascolto è sempre minore, se quello che diciamo, oggi domani è già vecchissimo, se non si dà al pensiero il tempo di maturare, è molto difficile che si vada verso una società migliore.
Rallentare aiuterebbe a creare delle condizioni migliori per l’ascolto.
In musica, di fatto, la realizzazione di un brano musicale non avviene in due giorni, probabilmente già adesso ci sono persone che stanno lavorando alle canzoni del prossimo Sanremo. Un prodotto ben riuscito passa per tantissimi ascolti, tante orecchie, tante persone che mettono a disposizione le proprie competenze.
Purtroppo se si stabilisce che ci sono cittadini da ascoltare di più perché il colore della pelle è uguale al tuo e sono nati nel tuo quartiere, e cittadini che vanno ascoltati di meno perché hanno le caratteristiche opposte, qualcosa non funziona.
Dico una banalità, ma una visione alla pari, senza idea di diverso, perché nessuno è diverso da nessuno, permetterebbe sicuramente una gestione delle problematiche migliore.
Rappresentando un gruppo musicale che ha queste caratteristiche nel DNA è automatico immaginare come sarebbe la società se fosse realmente come noi trattiamo un gruppo di persone che fanno musica insieme, ma che vengono da storie di vita totalmente diverse tra di loro, tutto qua.
Prima hai citato il Mediterraneo, l’ha citato anche Dargen in un intervento toccante durante la prima serata del Festival. Come nasce la vostra collaborazione e quali sono i vostri punti in comune?
Siamo stati contattati da lui, con nostra grande sorpresa, perché aveva seguito il percorso che molti di noi avevano fatto nell’Orchestra di Piazza Vittorio. Per tutto quello che abbiamo detto prima nell'intervista, Dargen è stata una scoperta straordinaria: è una persona che ha lo spessore che ha dimostrato sul palco, e che non hanno in tanti, nel prendersi la responsabilità di dire una cosa molto molto scomoda con una poeticità e una capacità di sintesi pazzesca. Da un punto di vista artistico, è un artista a tutto tondo, dall’approccio musicale a quello che dice nei testi, alla creazione di contenuti altri, come l’Edicola Dargen con Tlon.
Venerdì saremo sul palco di Sanremo in un omaggio a Ennio Morricone (sulle note di The Crisis, dalla colonna sonora de La leggenda del pianista sull’oceano, ndS) dove Dargen interpreterà la sua Modigliani, un brano che mette al centro tematiche che riguardano l'emigrazione. Intanto affrontiamo questa sfida, quel palco lì, perché è un palco che già quando abbiamo fatto le prove prendeva fuoco, e siamo sicuri che venerdì sera sarà bollente!
E io sarò con voi, con lo spirito.
Grazie. Abbiamo tanto bisogno di tanti spiriti buoni, tanti spiriti buoni!
E ora ti faccio la domanda un po’ marzulliana: cosa vedi nel vostro futuro?
Vedo cose concrete! Intanto c'è l’uscita di un disco prima dell'estate e l’inizio dei live. E poi, vedo la speranza che questa finestra che si apre su un mondo così nostro, ma che portiamo come simbolo a Sanremo, sia una finestra che altri abbiano voglia di aprire. Che possa far pensare quanto è importante che un percorso artistico simile diventi una consuetudine anche su palchi come quello di Sanremo; perché incontrare un musicista che fa un percorso molto diverso dal tuo è una risorsa utile al movimento che ruota intorno alla musica etnica o world music, chiamiamola come ci pare. Non stiamo parlando di un fenomeno piccolo e poco qualificante perché, se ad esempio vai a vedere il percorso dei nostri musicisti, ci sono esperienze di grande prestigio.
Ultima domanda, lo giuro: qual è il ricordo sonoro più prezioso che hai?
Domanda complicatissima! Beh, se pensiamo a BabelNova, il ricordo sonoro più prezioso è l'ascoltare, più di vent’anni fa, i suoni di alcuni musicisti che che adesso sono in questo progetto; ascoltare strumenti di cui non sapevo nulla, né il nome né la provenienza, però all'improvviso dire “Ma che figata pazzesca! Posso suonare la mia musica con uno che sona uno strumento assurdo!”. L'idea di lanciarti in una sorta di gigantesco Paese dei Balocchi: quella è la cosa più bella.
La newsletter speciale di oggi finisce qui: fammi sapere che ne pensi di questa intervista, se conosci la BabelNova Orchestra, se l’ascolterai.
Appuntamento coi normali Dispacci tra due mercoledì.
A presto, stai bene, pensami.
Samantha
La BabelNova Orchestra non la conoscevo, l'ho vista per la prima volta ieri a Sanremo con Dargen D'Amico. Che bello trovarla in questa intervista, quanti punti vitali sono emersi. Fa molto pensare la frase "perché nessuno è diverso da nessuno".