#85. Distorsione
In equilibrio tra punk e post-punk con The Birthday Party, J. G. Ballard, Please kill me e i Gaznevada.
Il punk ci ricorda molte cose, più di quante immaginiamo. Ci insegna a non liquidare ciò che fatichiamo a capire come inutile o persino pericoloso — penso a vari interventi sulla trap, su cui molto si è detto e poco compreso — e ad affrontare, senza giudicare o giustificare, ciò che è distante da noi.
Sebbene l’energia grezza di molte realtà abbia lasciato un impatto duraturo, la loro rapida scomparsa offre lezioni preziose tanto a chi l’arte la fa quanto a chi ne fruisce.
Ancora oggi parliamo, eccome, di frustrazione, autodistruzione, burnout. La chiave di lettura sta nel riconoscere da un lato i segnali di allarme per tutelare la longevità artistica — hai letto di Sangiovanni e della sua decisione così lucida e coraggiosa? — dall’altro il linguaggio per interpretare i messaggi di aiuto e denuncia di una collettività.
Ciao ! Il punk è tutt’altro che morto: il suo spirito è vivo, altroché. E con esso il post-punk, la volontà di andare oltre, di sperimentare nuovi linguaggi e contaminazioni.
Nel Dispaccio di oggi, Martina Pini racconta The Birthday Party di Nick Cave e soci, mentre io rispolvero un libro di J. G. Ballard, la storia del punk scritta in Please kill me e un’audiocassetta dei Gaznevada.
Perché riascoltare i Birthday Party
di Martina Pini, imprenditrice e devota a Nick Cave
In principio erano i Boys Next Door. Certo, non nel senso letterale del termine perché Nick Cave, Mick Harvey e gli altri membri della band non rispecchiavano proprio lo stereotipo dei ragazzi della porta accanto quando cantavano, alla fine degli anni ’70, Masturbation Generation.
Poi vennero i Birthday Party. Dimentichiamoci il Nick Cave di adesso, che ogni settimana dispensa consigli profondi, supporto emotivo e, più occasionalmente, ironia, nella sua newsletter The Red Hand Files. Dimentichiamoci dell’uomo saggio, elegante, posato di oggi: quello dei Birthday Party è ancora un ragazzo alla ricerca della sua voce, del suo sound, del suo posto nel mondo, di sé stesso. Ed è da qui che tutto comincia.
C’è una rara violenza musicale nei due dischi che The Birthday Party incidono. In Prayers on Fire del 1981, il sound della band si evolve rispetto ai lavori precedenti, diventa più complesso, regalandoci un album quasi espressionista. Si sentono varie influenze: il compianto Mark Stewart, Captain Beefheart, l’hardcore americano, i Bauhaus, il funky e il blues. C’è una fanfara spiazzante mescolata al giro di basso che traina Zoo Music Girl, c’è il blues stravolto di King Ink (che darà poi anche il titolo ad una raccolta di poesie, testi e opere varie di Nick Cave, pubblicata nel 1988, che in qualche modo anticipa il futuro Cave scrittore), e poi c’è Nick the Stripper, riassunto degli stilemi post-punk con qualche sporcatura goth e un video che rappresenta la personalissima visione della band dell’inferno (e i fan ricorderanno la bestemmia, con errore di spelling, scritta a caratteri cubitali sul petto di Nick Cave). Niente di rassicurante, quindi.
Il secondo album, pubblicato un solo anno dopo Prayers on Fire, è un mix di blues, funky e urla in chiave goth. L’idea di Nick Cave e Mick Harvey era quella di avere un suono che ricordasse la spazzatura – e da qui il titolo dell’album, Junkyard – con un suono graffiante e acuto. Ci sono i tam-tam incalzanti che ricordano i ritmi della giungla di Release the Bats, le distorsioni di chitarra e della voce di She’s Hit.
Prima dello scioglimento della band, nel 1983, viene pubblicato un EP dal titolo Mutiny. In una delle canzoni, Mutiny in Heaven, la chitarra viene suonata da Blixa Bargeld, degli Einstürzende Neubauten, che Cave aveva visto in tv e la cui presenza scenica e la voce lo avevano profondamente colpito.
Dalle ceneri dei Birthday Party nasceranno Nick Cave & The Bad Seeds e i Crime and the City Solutions. Il resto è storia.
Al SEEYOSOUND di Torino, domenica 3 marzo, ci sarà l’anteprima italiana del documentario Mutiny in Heaven: The Birthday Party di Ian White: ci vediamo lì?
Frontiere sonore
Il mondo secondo J. G. Ballard
Atrocity Exhibition, prima traccia del disco Closer dei Joy Division, ha un’ispirazione letteraria: La mostra delle atrocità di J. G. Ballard (Feltrinelli) è un volume diviso in quindici romanzi condensati, dei corpi narrativi che esplorano il lato oscuro dell’essere umano.
In Italia, il libro è pubblicato solo nel 1990 da Rizzoli, diciotto anni dopo la sua uscita anglosassone e alla fine di una lunga gestazione editoriale: il primo romanzo condensato esce infatti sulla rivista britannica New Worlds nel 1966.
Visionario, spesso disturbante, l’intento di Ballard non inciampa nella provocazione, ma sconfina nell’etica, come fa notare Antonio Caronia, traduttore dell'edizione italiana: il mondo intorno è complesso, violento, la ragione è inscindibile dall’incubo e l’unico modo per capire come uscirne indenni, forse, è affrontare l’inferno.
Please kill me: la storia del punk senza censure
Friedrich Nietzsche ci teneva a far presente che «Se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te». Persino le pagine di un libro non sono una via sicura per addentrarsi nel culto nichilista e nella vocazione all’autolesionismo, fisico e morale, deflagrati nel punk. Nel racconto di Gillian McCain e Legs McNeil si intrecciano le esperienze dei protagonisti di una cultura che, mai in modo così violento, ha spezzato i legami con il passato e contestato il presente, attraverso i gesti e le voci di protagonisti come Patti Smith e Lou Reed, Siouxsie Sioux e Sid Vicious.
Please kill me. Il punk nelle parole dei suoi protagonisti è edito in Italia da Baldini+Castoldi, con la traduzione di Riccardo Vianello. Un’opera monumentale, seicento pagine da leggere fino all’ultimo respiro.
I primi 45 anni dei Gaznevada
È la primavera del 1979 quando una band di Bologna debutta con il primo, omonimo album, rigorosamente inciso su audiocassetta e pubblicato da Harpo Records.
In quel periodo, la città è una fucina creativa, intercetta le nuove tendenze, le rimescola dando vita a realtà incredibili, ancora oggi oggetto di culto.
Tra queste ci sono per l’appunto loro, i Gaznevada, dal nome ispirato al racconto Nevada Gas di Raymond Chandler. La band unisce sotto un’unica sigla le esperienze dissimili dei suoi componenti, un crogiolo di ispirazioni che pesca agli antipodi tra punk e funk, con incursioni new wave e sperimentali, incollate da una forte dose di talento.
Qualche anno fa, il primo disco è stato ristampato su vinile, e sempre su vinile è possibile recuperare brandelli di storia del punk italiano. Che, a un tratto, ha conquistato anche il palco del Festivalbar.
Prima di accomiatarmi, un grazie speciale a
che ha citato i Dispacci nei suoi , in un articolo dedicato alla Spiritualità in viaggio che ti condivido qui:Sai qual è un mio ricordo recente, e inaspettato, legato al post-punk? Ero al Primavera Sound dello scorso anno, nel pieno del concerto dei Fontaines D.C. che brillavano nel pomeriggio di Barcellona: è stato un po’ come tornare a casa.
Ci ritroviamo qui tra un paio di settimane. Aspetto tue, se hai riflessioni o storie punk da raccontare, mi trovi qui. Scrivimi, davvero.
A presto, stai bene.
Samantha
Oggi ho provato la versione audio di Dispacci: che bello anche sentirlo letto!
E mi hai fatto scoprire il romanzone di Ballard, con il commento di Antonio Caronia, uno dei più grandi conoscitori e appassionati di fantascienza (un altro libro nella mia pila dei recuperi).
Non c'è numero che non mi stimoli un ascolto, una ricerca, una lettura. Lo ripeto senza tema di smentita: è la newsletter sulla musica più bella che c'è.