#86. Valere
Due cantautrici e studiose, palestinesi; tre artiste da tre punti diversi del mondo, India, Marocco e Colombia, unite nella forza.
Se fosse per me, la musica dovrebbe suonare così forte da superare i confini, spazzare via terrore e odio dalle coscienze, riaccendere la speranza degli oppressi e la ragione tra i nemici. Fino a che sarà un modo per tramandare la memoria, raccontare storie, avvicinare le persone e denunciare il presente, avrò sempre questa speranza.
Ciao !
Ciò che provo negli ultimi mesi, quando mi guardo intorno, è un senso di invalicabile impotenza: sono parole di
Oggi, in vista della Giornata Internazionale della Donna, ti presento due musiciste e studiose palestinesi, Sanaa Moussa e Kamilya Jubran; arrivano poi tre artiste uniche, da tre diverse parti del mondo: Madhuvanti Pal dall’India, Asmâa Hamzaoui dal Marocco e Lido Pimienta dalla Colombia.
Qualcosa per cui vale la pena
Una canzone dovrebbe avere la forza di zittire le bombe. Però il mondo è una terra ostile, le cose non vanno sempre nel migliore dei modi, anzi.
Esistono tuttavia dei frammenti di incredibile speranza, quando nei nostri ricordi riaffiora una melodia cantata da una voce amica, materna, come il ricordo una canzone sussurrata da mia nonna, una sera d’inverno.
Un ricordo simile abita la mente di Sanaa Moussa, cantautrice e compositrice palestinese, nata a Deir al-Asad, una città araba della Galilea; seguendo quella voce, Moussa trova la propria strada. La sua è una famiglia di musicisti: il padre è un cantante ed esperto di tradizioni egiziane, irachene e siriane; Moussa approfondisce gli studi in musica classica araba, specializzandosi anche in neuroscienze. Ricordando la canzone della nonna, inizia a domandarsi se non facesse parte di un patrimonio condiviso e da lì comincia la sua ricerca sul campo, tra le donne di Galilea.
Nasce così il suo disco Ishraq Reminiscence — ishraq si identifica con il sorgere, con la luce dell’alba — che raccoglie i suoni di un’intera generazione di donne testimoni della Nakba, l’esodo dalla Palestina.
Tra i brani che la cantante raccoglie, studia e reinterpreta c’è Safar Barlek, la descrizione senza tempo del dolore di una madre che vede il figlio partire per la leva obbligatoria, nata durante la dominazione ottomana prima, britannica poi. Una voce che non viene scalfita, attraversa secoli e confini per arrivare a noi così tremendamente attuale.
Ascolta il brano, non serve conoscere la lingua per comprenderne l’anima.
Allo stesso modo, può accadere che la voce di un poeta considerato il più grande tra i contemporanei in lingua araba, Mahmoud Darwish, riviva nell’interpretazione di una cantautrice nata negli anni Sessanta.
Anche Kamilya Jubran è cresciuta respirando musica. Suo padre, Elias Jubran, costruisce strumenti musicali e lei impara a suonare l’oud, il qanun e tanti altri. Dall’Europa, dove si è trasferita nei primi anni Duemila, intona le canzoni di una terra spezzata, come quando interpreta On Man, da una poesia di Darwish.
Ha fondato anche Zamkan, organizzazione no profit che aiuta progetti musicali innovativi.
Per generazioni, le donne palestinesi hanno custodito la memoria, il senso di riscatto, le speranze di un intero popolo. Hanno tramandato di madre in figlia canzoni in codice da dedicare ai prigionieri, racconti di eroine ed eroi della resistenza, vicende dei disertori, struggenti adii a una terra amata.
E ancora oggi le tante artiste, ricercatrici e appassionate lottano per tutelare un patrimonio inestimabile, spirito di un popolo, eredità dal valore incalcolabile per chi nascerà negli anni futuri, nonostante le macerie, le cicatrici e le migliaia di morti.
Ho visto la foto di due bambini sorreggere una lampada colorata tra le tende di un campo profughi, un addobbo per prepararsi al ramadan, una scheggia di quotidianità nell’orrore. Ho immaginato i canti risuonare tra le tende, che la musica potesse liberare, anche solo per pochi istanti, i cuori barricati nel terrore. Spero, soprattutto, che possa risvegliare le coscienze di chi, da lontano, ha il dovere di alzare la propria voce.
Su questa terra esiste qualcosa per cui vale la pena vivere: la fine di settembre, una donna che lascia i quarant’anni nel pieno della propria grazia, l’ora d’aria in prigione, le nuvole che prendono sembianze di uno stormo di creature, i canti del popolo per coloro che muoiono sorridendo e la paura che hanno i tiranni delle canzoni.
Su questa terra, di Mahmoud Darwish
Grazie alle attrici e agli attori di PuntoTeatroStudio per aver ispirato, con il loro spettacolo Reading Gaza, questo Dispaccio.
Frontiere sonore
Non sarà una maledizione a fermare una liutaia indiana
La leggenda narra che Shiva, estasiato alla vista della moglie Parvati addormentata, costruisce uno strumento musicale che ricalca le sue forme: due casse collegate da un bastone cavo. Nasce così la rudra vina, uno degli strumenti più antichi di tutta l’Asia meridionale.
Sebbene le fonti testimoniano che fosse suonato dalle donne, negli anni recenti le suonatrici sono state oggetto di stigma, si parla anche di una maledizione per le musiciste.
La liutaia Madhuvanti Pal degli anatemi se ne frega e, seguendo le orme di Jyoti Hegde, una delle strumentiste più famose e che forse ha infranto le dicerie, impara a costruirsi da sé gli strumenti e a suonarli. Registra anche da sola il proprio disco, The Holy Mother (Plays The Rudra Veena), pubblicato da Sublime Frequencies, pronto a ipnotizzare chiunque lo ascolti.
La prima musicista gnawa del Marocco
Imbraccia il suo sintir, un liuto a tre corde, e affronta il concerto di debutto che al primo impatto lascia il pubblico attonito, ma non indifferente. Servono solo alcuni minuti prima di realizzare cosa sta combinando la giovane artista.
Asmâa Hamzaoui è la prima musicista gnawa del Marocco, sale sul palco per la prima volta nel 2012 a Casablanca e tutti restano a bocca aperta, non solo per la bravura, ma anche perché una donna interpretare la gnawa non si era mai vista prima.
Il padre Rachid è un ma’alem, un maestro del genere, e in assenza di eredi maschi trasmette comunque la propria arte alle due figlie, con un primo scarto alla tradizione. L’esordio discografico è con Oulad Lghaba (The Children of the Village), che prende le mosse da melodie tradizionali per immergersi nel mondo contemporaneo.
Cosa portare con sé da Miss Colombia
Di tutte le musiche del mondo, e ne esistono parecchie, la cumbia è tra le più sorprendenti per la sua ricchezza: è fertile, meticcia, racconta le migrazioni, accoglie i contrasti, fonde in una manciata di note tre continenti, drammi e speranze. Più che un genere, è un’entità.
Tra queste intersezioni si muove Lido Pimienta, che rivendica le proprie origini Wayuu, lo status di donna queer e madre, l’amore per la madrepatria colombiana, che ha lasciato anni fa per trasferirsi in Canada.
La sua musica oscilla in un duplice registro tra l’elettronica e, per l’appunto, la cumbia; le ispirazioni affondano nella sua terra, sciolgono intrecci millenari, costruiscono atmosfere sonore limpide.
In un album come Miss Colombia, ad esempio, sprigiona libertà creativa, la consapevolezza della propria forza artistica, il potere, invincibile, di essere sé stesse.
Prima dei saluti, un paio di segnalazioni. Il venerdì potrebbe diventare un giorno speciale per questa newsletter: il giorno prescelto per un incontro con artiste e artisti che raccontano il mondo attraverso la musica. Che ne pensi?
Ho anche un’altra novità, nel mondo vero:
Il gruppo di lettura #ilibrideglialtri della casa editrice People, che curo insieme ad Annamaria Guidi, inizia ufficialmente!
Il primo libro che abbiamo scelto è Possiamo salvare il mondo, prima di cena di Jonathan Safran Foer (Guanda): se passi da Busto Arsizio (VA) venerdì 5 aprile alle 18.30, ti aspettiamo in sede!
Dispaccio concluso. Attendo tue, se hai storie da raccontare, dischi da suggerire, mi trovi qui. Scrivimi, mandami cuori e buoni pensieri.
A presto, stai bene!
Samantha
Oggi saranno queste musiche ad accompagnarmi per tutto il giorno. Sei sempre fonte di belle scoperte e suggestioni da seguire
Questa puntata è davvero preziosa, mi sono appuntata tante cose :)
E complimenti per il gruppo di lettura!