#100. A Sarajevo
Quando la musica ha raccontato la realtà durante il mio viaggio in Bosnia ed Erzegovina
«È la città più bella del mondo!» è stata la prima frase che ho pronunciato appena arrivata a Sarajevo. Dopo dieci anni, sono tornata e mi sono sentita di nuovo a casa, anche se sia io sia la città siamo cambiate, e non c’è dubbio che continueremo a cambiare.
Su Vanity Fair ho raccontato Perché un viaggio in Bosnia ed Erzegovina può cambiarti la vita; qui, nei Dispacci, ripercorro alcuni momenti in cui la musica ha raccontato la storia e la realtà da una prospettiva profondamente umana.
Tra i numerosi istanti raccolti nel mio diario di viaggio, ne ho scelti dieci.
1. Prima del confine: lo spomenik di Petrova Gora e la musica contro l’odio
Oggi è un gigante stanco, spogliato dei suoi pannelli di zinco che si trasformano in mobili bar nei locali alla moda. Il Monumento alla rivolta degli abitanti di Kordun e Banja è un memoriale della resistenza jugoslava in Croazia, a pochi chilometri dal confine bosniaco. Nella primavera del 1990, durante una manifestazione antifascista, è stato teatro di forti tensioni con dei gruppi nazionalisti; chi era presente ricorda la musica alzata a tutto volume per coprire gli slogan di odio. Erano gli inizi degli anni oscuri della guerra, prima che lo spomenik1 fosse esposto in una mostra al MoMa di New York, prima che le immagini del documentario Unwanted Heritage di Irena Skoric raccontassero la storia di un’eredità complessa.
2. Sullo Stari Most ascoltando i Mostar Sevdah Reunion
«Secondo un’antica tradizione islamica i ponti sono angeli con i piedi uniti dentro l’acqua dei fiumi: tengono le ali spiegate, da una sponda all'altra, per aiutare gli uomini che abitano sulle opposte rive a non sentirsi rivali» racconta Angelo Floramo nella sua Breve storia sentimentale dei Balcani (Bottega Errante Edizioni).
Lo Stari Most di Mostar è il simbolo di questa unione: distrutto brutalmente durante la guerra e poi ricostruito, è uno degli scorci più affascinanti del pianeta. Mentre migliaia di turisti camminano sul lastricato di telenia, le campane e l’adhan si alternano, riportando alla mente altre parole di Floramo: «Chi ama i muri odia i ponti. Per questo li fa saltare in aria».
C’è una canzone che ho ascoltato tanti anni fa, vicino al ponte: è Cudna jada od Mostara grada (“Povera strana ragazza di Mostar”) suonata dai Mostar Sevdah Reunion2 appena rientrati in città dopo un lungo tour.
3. Le antiche danze della necropoli di Radimlja
Sfiorata dalle auto che sfrecciano sulla M6, la necropoli di Radimlja è un luogo antico e misterioso, tra i più preziosi dei Balcani. I 133 stećci, monumentali pietre tombali, sono decorati con figure geometriche, umane e animali, scene di guerra e scritte in Bosančica, l’antico cirillico bosniaco, ma anche con danze e coreografie perdute nel tempo. Sono stati scolpiti tra il 1400 e il 1500 circa, in una comunità seguace del bogomilismo, antica eresia cristiana, e che non aveva contatti col resto del mondo. Come se il tempo si fosse fermato in un passato indecifrabile.
4. Il Music & More SummerFest di Trebinje
Quando la soprano Xenia Cumento intona Deh vieni, non tardare da Le nozze di Figaro, il mondo sembra sospendersi. È il Music & More SummerFest di Trebinje, creato da Tatjana Rankovich per celebrare il talento musicale di giovani artiste e artisti da tutto il mondo. Così può capitare, mentre visiti il Museo dell’Erzegovina, di ascoltare una lezione al pianoforte tenuta da Arbo Valdma; e poi la sera, sulla collina della chiesa del Santo Spirito, di assistere a un concerto sotto una luna crescente, mentre lo sguardo si perde nella vista mozzafiato sulla valle. In una notte di mezza estate, la musica diventa la voce della bellezza e della speranza.
5. Il violoncello di Vedran Smailović
Nel maggio del 1992, un colpo di mortaio uccide ventidue persone in un mercato di Sarajevo. Con il suo violoncello e indossando l’abito da concerto, Vedran Smailović si reca sul posto e suona per ventidue giorni consecutivi, uno per ogni vittima, l’Adagio in sol minore di Albinoni. Negli anni successivi continua a esibirsi in diversi luoghi della città, infischiandosene dei cecchini, arrivando anche tra le rovine della Biblioteca, divorata dalle fiamme che hanno distrutto per sempre migliaia di volumi, e con essi la storia di un popolo: è il dramma cantato dai C.S.I. in Cupe vampe, una traccia del disco Linea Gotica.
6. Il punk dei Sikter più forte dei colpi di mortaio
Immagina suonare negli scantinati, ma solo se c’è abbastanza gasolio per alimentare i generatori, correre sfidando i cecchini per arrivare a un concerto: così vive la band punk Sikter durante l’assedio di Sarajevo. La loro musica risuona ancora oggi nella mostra The Labyrinth of the Nineties, al Museo storico di Sarajevo, e nel documentario Kiss the Future, presentato alla Berlinale dello scorso anno. Il frontman Enes Zlatar racconta che forse la musica non poteva cambiare nulla allora, tuttavia era un’ancora di salvezza, un teletrasporto verso un’altra realtà.
Si ascoltavano turbofolk, dance, hip hop e rap, elettronica, punk, rock e grunge; risuonavano Rhythm Is a Dancer degli Snap! e Nearly Lost You degli Screaming Trees, e si suonava, ovunque fosse possibile. In quegli anni, fare musica non era tanto un atto di resistenza, bensì un modo per restare umani.
7. L’Orchestra e il Conservatorio che non smettono di suonare
Le note si diffondono nelle strade dall’edificio della televisione di stato, vicino all’Holiday Inn. Vecchie immagini sgranate, che oggi è possibile vedere alla Memorial Gallery di Srebrenica a Sarajevo, mostrano l’Orchestra Sinfonica provare la Sinfonia n. 3 di Beethoven, l’Eroica, tra le stanze vuote. Durante l’assedio, molti musicisti perdono la vita, tuttavia l’ensemble continua la sua attività.
Nell’ottobre del 1994, il giornalista Roger Cohen scrive un articolo per il Guardian dove sostiene, già nel titolo, che A Sarajevo, la musica è nemica della guerra 3, e descrive come dal palazzo del Conservatorio si possano udire le note di Beethoven e Chopin, perché insegnanti e studenti non hanno mai smesso di suonare.
Nella distruzione, la musica è un faro di umanità, una scintilla per combattere il dolore.
8. Il Bowie di Srebrenica rivive in un film
Durante la guerra, Samir Mehic, conosciuto come “Bowie”, continua a comporre e suonare, fondando persino una band, gli Absurd. Ispirato dal celebre artista britannico, Mehic crea musica anche mentre il conflitto devasta il suo paese. Nel luglio 1995, durante la fuga con la moglie, che si salva e dà poi alla luce una bambina, è catturato e ucciso dalle forze serbo-bosniache. Di lui restano uno stereo e alcuni dischi, nonché il ricordo di un uomo straordinario.
Il film Samir Mehic Bowie. Letters from Srebrenica, presentato al Sarajevo Film Festival lo scorso agosto, racconta la sua toccante storia e ne custodisce la memoria.
9. Quando i Dubioza Kolektiv definiscono un paese
Nel cuore della Bosnia, il COD di Jajce (un centro di educazione e socializzazione) rappresenta una reazione alle atrocità della guerra, una realtà multietnica dedicata a ragazze e ragazzi. Qui si formano guide turistiche, si gestisce un giornale locale e si promuovono progetti imprenditoriali, dando speranza alle nuove generazioni in un territorio segnato da un alto tasso di emigrazione. In queste stanze si respira voglia di cambiamento, sebbene nel paese si assista a situazioni preoccupanti, come la ripartizione scolastica in base alle identità culturali che vige in alcune zone. Secondo i ragazzi e le ragazze del COD, l’album Absurdistan dei Dubioza Kolektiv riassume un po’ il contesto già con il titolo, dipingendo “un paese assurdo”. Il COD è però un luogo dove la creatività e la speranza convivono, alimentando il sogno di un futuro diverso.
10. Oltre il confine: Jasenovac e la musica come atto di resistenza
Di nuovo in Croazia, il Memoriale di Jasenovac custodisce le testimonianze di un passato atroce. Paula Godlar scriveva canzoni nel suo piccolo taccuino, Danila Milic annotava lezioni di letteratura e teoria musicale: entrambe sono state liberate dal campo di concentramento che sorgeva qui, sulle rive della Sava, in uno scambio di prigionieri, ma migliaia di persone hanno perso la vita per mano degli ustascia. Il memoriale è un luogo di riflessione, dominato dal fiore di cemento armato di Bogdan Bogdanović, dove alcuni versi del poema La fossa di Ivan Goran Kovačić suggeriscono una vaga speranza, che sopravvive anche nelle tenebre più profonde.
Viaggiare prestando attenzione alle culture locali e alla sostenibilità, impegnandosi nella scoperta gentile dei luoghi e nell’incontro profondo con le persone che li abitano è essenziale. Per visitare la Bosnia ed Erzegovina, addentrandosi nella sua complessità, esistono realtà come Viaggi e Miraggi Onlus, specializzata nel turismo responsabile, e Confluenze. Nel sud-est Europa con lentezza, associazione che racconta i territori tra Adriatico e Mar Nero attraverso la divulgazione storica e culturale, affidata a figure esperte.
Hai appena letto il Dispaccio numero 100, un traguardo che mi riempie di gratitudine e orgoglio. Grazie a chi mi ha seguito dai primi passi, alle persone che si sono unite lungo il percorso e a chi ha sempre avuto del tempo da dedicare alla newsletter. Ora il viaggio continua con nuove idee, tante storie da raccontare e la stessa passione di sempre.
Per questa uscita speciale, grazie a Bojan per aver tracciato la rotta (e per il post-punk serbo); a Camilla e Rocco per gli intrecci dei nostri itinerari.
Infine, un paio di cose che ho scritto:
durante il viaggio, ho inviato delle Cartoline dagli orti estivi che puoi sfogliare su , insieme a molti scatti stupendi da tutto il mondo;
qualche tempo fa, ho invece raccontato La sevdah della luna piena a .
A presto, stai bene.
Samantha
«Spomenik è una parola serbo-croata che letteralmente significa “monumento”. Riferita al contesto balcanico, tuttavia, essa si riferisce ad una particolarissima tipologia di opera, ovvero tutti quei manufatti costruiti durante la dittatura socialista di Josip Broz Tito».
Tratto da Spomenik, la Jugoslavia che resta: un progetto di reportage di viaggio, in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 2024.
«La sevdah, quindi, è una bella canzone bosniaca, intima e discreta. È qualcosa di autoctono che vive con noi e dentro di noi, qui in Bosnia».
Tratto da L’amore al tempo della sevdah, in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 2008.
Roger Cohen, In Sarajevo, music is the enemy of war, The Guardian, ottobre 1994.
Ciao Samantha, sono stata a Sarajevo tre volte per brevi e medi periodi, ma non mi basta mai! Anche per me è “la città più bella al mondo” 🤍 Da appassionata di musica questo post è oro puro. Grazie di cuore per aver raccontato la città da questo punto di vista.
Non poteva esserci numero 100% migliore di questo!!!