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In questo Dispaccio, ti racconto l’Afghanistan attraverso storie di coraggio e resistenza, iniziando con la vicenda della Zohra Orchestra, il primo ensemble femminile del paese. Troverai anche le parole di Luca Lo Presti, direttore di Pangea, che spiega il lavoro della Fondazione in un contesto sempre più complesso.
E poi ci sono una mostra a Parigi e la testimonianza di chi ha attraversato il paese, portando con sé la memoria di una terra e di un popolo in cerca di libertà.
Cominciamo?
La resistenza della musica afgana
Fazila Zamir è la prima donna afgana a suonare il rubab, uno strumento musicale che, prima di lei, era esclusiva maschile; i suoi occhi scintillano mentre ne parla tra le immagini di Last Song From Kabul.1
Il documentario racconta la storia di persone costrette al silenzio che hanno trovato un modo per riabbracciare i propri strumenti, per far risuonare la loro voce. E di come la musica possa rappresentare la libertà. È un canto di resistenza e dignità, un inno alla vita.
Una sfida contro il silenzio
La Zohra Orchestra, protagonista del documentario, è il primo ensemble femminile del paese, nato nel 2015 come un esperimento straordinario. Composto da giovani musiciste, il progetto ha visto la luce tra le aule dell’Istituto Nazionale Musicale Afgano (ANIM), fondato dall’etnomusicologo e attivista per i diritti umani Ahmad Sarmast. Non una semplice scuola: l’ANIM è stato un luogo di accoglienza, un baluardo di rispetto e democrazia, dove le tradizioni musicali si incontravano con la parità di genere e l’autodeterminazione.
L’orchestra non si è fermata ai confini del paese, ma ha portato il suo messaggio dall’Europa all’Australia, unendo talenti e valori universali. Il repertorio era una dichiarazione d’intenti: accanto a pianoforte e archi, c’erano strumenti come il rubab, la danbura e il sitar, che intrecciavano musica classica occidentale e tradizione popolare afgana in un intenso dialogo tra culture.
Il ritorno del silenzio: la caduta di Kabul
Il 15 agosto 2021 segna un punto di svolta tragico per l’orchestra e per l’Istituto. Con la caduta di Kabul e il ritorno dei Talebani, la musica viene bandita dall’Afghanistan. Non si può suonare, ascoltare o insegnare la musica; non è più un mestiere, e non può più sostenere le vite di chi la praticava.
In un solo colpo, donne e uomini sono stati privati di un piacere, di una forma di espressione, di un momento di aggregazione, di una professione. Ma soprattutto, un patrimonio musicale millenario, tramandato per secoli, è diventato inaccessibile e rischia di svanire nel nulla.
Desideriamo far sentire al mondo le voci di migliaia di donne e bambine che in Afghanistan sono state messe a tacere.
Da “Last Song From Kabul”
L’Istituto è stato occupato e chiuso, gli strumenti e i libri di testo bruciati. E le musiciste di Zohra, costrette a nascondersi, sono diventate protagoniste di una rischiosa operazione di fuga, con il sostegno di figure internazionali di spicco, come il violoncellista Yo-Yo Ma.
Oggi, alcune di loro hanno trovato rifugio in Portogallo, dove è nata la sede ufficiale dell’Afghan Youth Orchestra, un’orchestra composta da giovani musiciste e musicisti che continua a suonare, a viaggiare, a lottare con tenacia per non spegnersi e tenere alta l’attenzione sulla realtà afgana.
La speranza che nasce dove finisce il canto
Lo scorso agosto, a tre anni dalla caduta di Kabul, i Talebani hanno istituito una legge di 35 articoli per “regolare la moralità dei cittadini”, ribadendo il divieto di suonare e ascoltare musica. Per le donne, il silenzio è ancora più severo: non possono cantare, recitare, leggere ad alta voce; sono invisibili, ombre silenziose cui non è concesso spazio.
Eppure, c’è un suono che non può essere cancellato, una musica che continua a vivere nei cuori di chi non si arrende. Fazila, con il suo rubab, e le compagne della Zohra Orchestra, ci ricordano che anche il silenzio può avere una melodia, e che non smetteranno mai di lottare per farla ascoltare.
The Taliban may try to silence us with their laws, but they cannot take our voices. We will write, we will read, and we will resist. Our wounds will become poetry, and our pain will be transformed into lasting songs for history.
Shafiqa Khpalwak, poetessa in esilio, su X
In un mondo paradossale, dove persino la musica può diventare un crimine, ogni nota che riesce a sfuggire al silenzio è un atto di coraggio.
La storia di Fazila e della Zohra Orchestra è la prova che, anche quando tutto sembra perduto, la musica trova sempre un modo per risorgere. E mentre il silenzio cala su Kabul, lontano, in qualche luogo, un rubab suona ancora.
L’impossibile non esiste per le donne afgane
Sono trascorsi più di tre anni dal 15 agosto del 2021, quando le immagini in diretta da Kabul hanno testimoniato la conquista della capitale afgana da parte dei Talebani e il loro ritorno al potere.
«Sappiamo bene che in Afghanistan l’emergenza resta, nonostante la luce dei riflettori sia sempre più affievolita»: sottolinea Luca Lo Presti, presidente di Fondazione Pangea Onlus, che spiega cosa sta succedendo nel paese.
Lo Presti — Del 15 agosto di tre anni fa ricordiamo tutto: l’ansia, la paura, le decisioni difficili da prendere in poco tempo. La priorità per Pangea è stata proteggere le attiviste e le beneficiarie che per vent’anni hanno collaborato con noi in Afghanistan. Nell’emergenza di quei giorni abbiamo dapprima bruciato i documenti di lavoro, chiuso l’ufficio di Kabul ed evacuato il personale. In una seconda fase, la preoccupazione è stata invece quella di non lasciare il paese, di continuare a lavorare accanto alle donne e ai bambini. Non potevamo lasciarle sole!
Oggi l’emergenza non è finita e noi di Pangea la stiamo attraversando perché l’Afghanistan continua a vivere il suo momento più buio.
La privazione di libertà e autonomia riguarda donne e uomini di ogni età, ma sono in particolare le prime a soffrirne.
Lo Presti — A distanza di tre anni dal ritorno dei Talebani possiamo dire con certezza che nel paese è in atto un vero e proprio apartheid di genere.
Per le donne la situazione precipita di giorno in giorno, per loro non è possibile andare a scuola, fare sport, semplicemente curarsi in autonomia o andare in giro da sole, persino recarsi in ospedale per curarsi è impossibile se non si è accompagnate da un uomo, sia esso il marito, il fratello o addirittura il figlio maschio piccolo. Le donne non esistono, non sono persone perché non possono godere dei diritti umani.
Se aggiungiamo a tutto questo la fame, la povertà estrema, i terremoti, le catastrofi naturali, la situazione è davvero drammatica.
Pangea è rimasta in Afghanistan, riorganizzando le attività: ha riaperto la sede di Kabul, con personale afgano, e portato avanti progetti come la distribuzione di pacchi alimentari e gli interventi dopo il terremoto a Herat.
Lo Presti — Sembrava impossibile eppure abbiamo continuato a sostenere la scuola per bambini e bambine sorde di Kabul e con caparbietà siamo riusciti a riaprirla. Oggi la scuola è frequentata da decine di bambini e bambine, e in quei corridoi rimasti vuoti per tanto tempo gli studenti e le studentesse sono tornate a correre. Peraltro il pasto che forniamo alla mensa scolastica rappresenta per molti di loro l’unico della giornata. Siamo poi avviando, sempre in loco, progetti per la salute mentale, perché la depressione e il tasso di suicidi sono in costante aumento. Abbiamo inoltre supportato la formazione professionale di 300 minori e il coordinamento di corsi online per l’educazione all’uso del computer di 350 studenti e studentesse. È stato infine avviato un esperimento pilota di attività generative di reddito con 100 famiglie nella zona di Kabul.
I corridoi umanitari e lavorativi sono invece la strada per chi dall’Afghanistan riesce a fuggire, come le oltre 120 persone aiutate da Pangea. In Italia, i progetti sono legati a percorsi di scolarizzazione, inserimento all’università e nel mondo del lavoro. Tutto questo grazie a uno sportello interculturale dedicato alle donne afgane rifugiate e richiedenti asilo, tradotto in italiano, inglese e Dari.
Lo Presti — Abbiamo sempre raccontato che le donne afgane in questi anni ci hanno insegnato che la parola “impossibile” non esiste. Ora in tanti ci dicono che non riusciremo a lavorare a Kabul ancora per molto. Che tutto è finito. E invece Pangea sta dimostrando il contrario, anche se da soli non possiamo farcela e abbiamo bisogno di aiuto per continuare. Ci vorrà intelligenza e cautela ma continueremo a lavorare per le donne e i loro bambini. Perché la parola impossibile l’abbiamo cancellata dal vocabolario.
Puoi visitare il sito di Fondazione Pangea Onlus per approfondire le attività.
Le foto di No Woman’s Land a Parigi
Un gruppo di ragazze adolescenti balla alla festa di compleanno di un’amica; la musica e la danza sono state proibite dai Talebani, ma le donne continuano a ballare e festeggiare nell’intimità delle loro case e a porte chiuse.
La condizione delle donne e delle ragazze in Afghanistan dopo il ritorno al potere dei Talebani è il tema che anima la 14ª edizione del Premio Carmignac di Fotogiornalismo. È stato assegnato al progetto No Woman’s Land della fotoreporter canadese-iraniana Kiana Hayeri e della ricercatrice francese Mélissa Cornet, che sarà possibile ammirare in una doppia mostra gratuita a Parigi: al Réfectoire des Cordeliers dal 25 ottobre al 18 novembre e, all’aperto, alla Port de Solférino dal 31 ottobre al 18 dicembre.
Puoi trovare maggiori info sul sito della Fondation Carmignac (in francese e inglese).
Attraversare l’Afghanistan in bicicletta
Nella sua newsletter
, ha incrociato Claudio Piani, che dal quartiere milanese di Quarto Oggiaro è arrivato al campo base dell’Everest in sella alla sua bicicletta, attraversando l’Afghanistan in ventisei giorni.Puoi leggere l’intervista qui:
Si tratta di una testimonianza preziosa ed è stata per me fonte di molte riflessioni, così ho deciso di condividerla.
Mentre il Dispaccio di oggi si avvia al termine, mi rendo conto che il quarto compleanno della newsletter si avvicina inesorabile: che dici, dovremmo celebrarlo?
Lascia un commento per dirmi come ti è sembrata questa puntata, oppure palesati con un cuore e fammi sapere che si sei. Ci ritroviamo tra due settimane.
Il documentario Last Song From Kabul (2023) è disponibile in streaming su Prime Video, Paramount+ e Apple TV.
Grazie per aver condiviso queste testimonianze preziose sul potere salvifico della musica 🙏 ☯️
Bellissimo articolo! Grazie ❤️