Dal plenilunio alla musica, sotto i raggi dell'AI
La luna piena dell'autunno ascolta musica jazz grazie all'AI
I cinesi la chiamano la “Luna Gentile”, per noi occidentali è la “Luna del Cacciatore”, per quella indigena è la “Luna delle Foglie Cadenti” e infatti quella che vedrete risplendere stasera è la luna piena dell’autunno - ed è anche l’ultima Superluna dell’anno.
Da sempre il plenilunio è il momento in cui si chiude il ciclo iniziato con la luna nuova. Mentre la fase nuova del ciclo lunare è indicata per iniziare nuove attività o dare avvio ai progetti, i giorni prima, durante e dopo la luna piena rappresentano un buon momento per portare a compimento le cose, chiudere i progetti e presentarli al mondo esterno.
Non a caso, nel 2023, dopo 21 anni dal suo ultimo album, Peter Gabriel ha scelto di rilasciare ogni nuova traccia del suo nuovo album I/o ad ogni luna piena dell’anno.
Ma non è stata l’unica novità legata all’album. Ad aprile, il cantante ha lanciato anche il contest Diffuse Together i/o Edition, in partnership con Stability AI - la principale azienda di AI open source al mondo - chiedendo agli utenti di produrre con l’intelligenza artificiale i video di alcuni brani dell’album: i/o, Playing for Time, The Court, Panopticom.
Nel costante dibattito degli ultimi anni sulle implicazioni dell’applicazione dell’AI alla musica, l’annuncio ha però suscitato così tante polemiche che Gabriel si è sentito poi in dovere di chiarire con un un comunicato stampa sul suo sito.
Nel comunicato, dopo una strenua difesa di diritti e copyright per il lavoro di ogni artista, si legge:
Stiamo entrando in un mondo che sta per essere trasformato radicalmente dall’IA. Molte persone vedono l’IA come il nemico, ma insieme a straordinari strumenti scientifici, funzionali e creativi, può fornire un'istruzione eccellente e una migliore assistenza sanitaria a miliardi di persone. Presenta anche molti potenziali pericoli intrinseci che dobbiamo affrontare con urgenza.
Come la ruota o la rivoluzione industriale, credo che i cambiamenti apportati dall'intelligenza artificiale siano inarrestabili, ma è chiaro che possiamo influenzarli.
Un dibattito che ha visto una delle prime micce accendersi con la domanda che fece nel 2019 sul sito di Nick Cave, The Red Right Hand, un suo fan di Lubiana:
Considerando che l’immaginazione umana è l’ultimo lembo di natura selvaggia, pensi che l’intelligenza artificiale sarà mai in grado di scrivere una bella canzone?
La risposta di Cave (che assolutamente vi consiglio di leggere) si può riassumere con queste parole: “L’intelligenza artificiale avrebbe la capacità di scrivere una buona canzone, ma non una grande canzone. Le manca il coraggio”.
Sulla facilità con cui è possibile ora, grazie all’AI, modificare e perfezionare ogni aspetto di una traccia è intervenuto un altro grande musicista, Brian Eno - che già svariati anni fa, usava musica generativa per animare automaticamente le sue macchine sonore. Eno mette in guardia contro il pericolo di “appiattire” tutto attraverso la tecnologia. L’uso eccessivo di strumenti tecnologici rischiano di omogeneizzare la musica fino a eliminare ogni traccia di imperfezione umana. Come afferma Eno, l’effetto netto è che “ogni battuta suona uguale finché non c'è più traccia di vita umana lì dentro”.
Eno ci ricorda che gli errori fanno parte della bellezza della musica. Come suggerisce nel video delle sue celebri Oblique Strategies: “Onora i tuoi errori come un’intenzione nascosta”. L'essenza della musica risiede spesso nelle sue asperità, in quegli “incidenti felici” che rendono un brano unico e toccante.
D’altronde, progetti come Outerhelios,1 che prende spunto proprio dalla musica generativa di Eno, in cui un flusso continuo di free jazz viene trasmesso nello spazio grazie ad un algoritmo, mostrano quanto lontano possiamo spingere la tecnologia.
La rete neurale dietro Outerhelios è stata addestrata ascoltando Coltrane e Rashied Ali e produce una musica che, per alcuni minuti, potrebbe sembrare credibile, ma subito dopo, si disintegra in un caos sonoro (chissà quindi cosa starà ascoltando la luna piena di oggi!), ricordandoci che, per quanto sofisticata, l’AI è ancora lontana dalla complessità umana.
Se da un lato la tecnologia ci offre infinite possibilità, dall’altro rischia di allontanarci dalle emozioni profonde che solo la musica creata con cuore, anima e coraggio può suscitare.
Per districarmi in questo dibattito ho chiesto un contributo a
, giornalista esperta in musica, di cui potete leggere qui su #Substack i suoiAltre parole, altre voci
Al Wired Next Fest di Rovereto, il fisico Federico Faggin ha osservato che “La vera creatività porta con sé esistenza, ciò che prima non c’era. I libri sono scritti per manifestare significati, mentre il computer rimescola dei simboli”. La riflessione ha fatto scoccare in me una scintilla: la musica è significato.
Spesso la consideriamo un prodotto confezionato per l’intrattenimento, frammentato in singoli brani; in realtà, è qualcosa di più: è un fenomeno che crea coesione, manifesta idee, le conserva e tramanda; è parte attiva della nostra formazione. Inoltre, la musica è ciò che più si avvicina al concetto di spiritualità che io conosca, ed è estremamente duttile. La nascita della radio, l’invenzione del long playing, l’arrivo del walkman, dell’iPod e dello streaming sono alcune tappe di una sua diversa fruizione, ma anche stimoli per una ricerca creativa incessante, che trae spunto dai mezzi e dai supporti a disposizione.
Oggi il dibattito si focalizza sull’IA, e tutto è così veloce che formarsi un’idea precisa è complesso. Il mio pensiero parte dal presupposto che la tecnologia sia in grado di migliorare le nostre vite e di accelerare dei processi, a patto di saperla gestire senza esserne sopraffatti.
Uno degli artisti più tranchant sull’IA è Nick Cave. Nei suoi Red Hand Files sostiene che “Le canzoni nascono dalla sofferenza, cioè si basano sulla complessa lotta umana interiore della creazione e, per quanto ne so, gli algoritmi non sentono. I dati non soffrono”. L’atto artistico della creazione è trascendente per Cave, colpisce il cuore di chi ascolta e si identifica nei sentimenti evocati. “Forse col tempo si potrebbe creare una canzone che, in superficie, è indistinguibile dall’originale, ma sarà sempre una replica, una sorta di burlesque”, continua.
La riflessione non è quindi sulla qualità di un’opera musicale generata dall’IA in sé, bensì su cosa intendiamo per musica: un’espressione della nostra libera creatività, imperfezione e capacità di evoluzione; in sintesi, lo spazio unico e imprevedibile dove essere persone umane.
Esistono molte app e software musicali, da Flow Machines, con cui la Sony ha pubblicato nel 2017 “Daddy’s Car”, la canzone ispirata ai Beatles e composta interamente dall’IA, alla popolare Suno, la piattaforma che permette a chiunque di creare brani in pochi minuti. Allo stato attuale l’IA viene addestrata su dataset rielaborati fino a ottenere nuovi pattern e, di conseguenza, nuove opere.
A proposito di questo, Brian Eno lavora da anni con la tecnologia, ottenendo risultati non solo eccellenti, ma anche rivoluzionari, pur senza dipenderne. “Il problema del lavoro basato sul software è che... non esaurisce mai quello che fa. Quindi si può sempre nascondere il fatto di non avere un’idea provando un’altra opzione”. Eno osserva che spesso le grandi idee nascono da strumenti semplici, poiché esplorandone tutte le potenzialità si arriva davvero a un risultato inedito.
Ci sono però anche usi creativi dell’IA, come hanno dimostrato gli Eugenio in Via Di Gioia e Willie Peyote: nel brano “Farò più rumore del ratatata”, proprio grazie all’IA inseriscono voce e parole del rapper iraniano Toomaj Salehi, incarcerato in Iran, e danno vita a un manifesto contro l’oppressione. Del resto, già in tempi non sospetti, David Bowie utilizzava il software Verbasizer, che combinava parole e titoli di giornali casuali e le restituiva in una bozza; ma dubito che avremmo avuto gli stessi risultati senza la sensibilità di un genio come lui.
In fin dei conti, è una questione di significato e non di simboli, come ha spiegato Faggin: perché fai musica? Perché l’ascolti? A fare la differenza sono le idee musicali, lo spazio imprevedibile e imperfetto che ci rende persone umane, la necessità di comunicare. La musica, è bene ricordarlo, è legata indissolubilmente alla nostra espressione, al bisogno di sentirci parte di una collettività e alle nostre vite. È il nostro sentire.
Outerhelios, un flusso 24 ore su 24, 7 giorni su 7 di free jazz generato dall’intelligenza artificiale, è stato progettato per essere trasmesso nello spazio da Dadabots, “un incrocio tra una band, un team di hackathon e un laboratorio di ricerca effimero”.