#76. Dialogo
Il canto della pace sudanese, la musica come lotta sociale cilena, le melodie dell'esilio afgano.
Ciao !
Stai bene?
Negli ultimi giorni ho pensato molto a come raccontare il mondo attraverso la musica in un periodo così delicato, dopo lo scoppio dell’ennesimo conflitto con il suo carico di atrocità.
Sono riemersi dalla memoria i racconti di uno dei miei maestri che, durante la guerra del Kosovo, registrava sul campo i canti delle comunità locali, riunite a dispetto della pioggia di bombe, i cui boati sono rimasti fissati su nastro magnetico: si canta sempre, si canta perché la musica ci rende umani.
Tra infinite ostilità, se una melodia avrà dato conforto, se la musica si sarà rivelata un modo per comunicare le ingiustizie, il suo valore sarà inestimabile.
Quindi, dopo l’ultimo numero dove ti portavo proprio nelle terre che oggi sono sconvolte dall’indicibile, eccomi qui, di nuovo a scriverti.
Le protagoniste di questo Dispaccio sono tre voci diverse, limpide, potenti ed eterne. Arrivano da zone del mondo distanti tra loro, eppure strette nel comune anelito verso la pace e la libertà: Shaden Gardood dal Sudan, Violeta Parra dal Cile e i canti dell’esilio afgano in Iran di Nasim Khushnawaz.
Come luce nelle tenebre
Negli ultimi giorni, dicevo, ho dedicato molto tempo a riflettere su come la musica possa confermarsi un linguaggio universale che racconta il mondo, specialmente in tempi così fragili. La recente esplosione di un ennesimo conflitto, con tutto il suo carico di crudeltà, mi ha spinto ancora di più a pensare.
La musica è una forza che supera ogni ostacolo, un faro di luce nelle tenebre della disumanità; ci connette, consola e ricorda che, nonostante tutto, c'è ancora bellezza intorno a noi.
Inoltre, la musica è un veicolo straordinario per comunicare le ingiustizie. È uno strumento potente per raccontare storie, sensibilizzare le persone e ispirarle a cercare un cambiamento, per quanto impervia possa essere la strada; è una scintilla in grado di convincerti che anche la tua voce e il tuo impegno possono fare la differenza, per quanto all’apparenza insignificanti.
Le speranze hanno quel certo destino da compiere, nascere l’una dall’altra, ed è per questo che, malgrado le tante delusioni, non sono ancora finite a questo mondo.
José Saramago, Le intermittenze della morte
E così, eccomi di nuovo a scrivere, a condividere e a cercare di fare la mia parte nel raccontare il mondo attraverso le note.
La mia speranza è che la musica possa continuare a essere una forza di positività, un mezzo di espressione e, soprattutto, una voce che si alza contro le ingiustizie. Siamo tutti coinvolti in questa lotta per un mondo migliore, e la musica è il nostro alleato più potente. E può dar voce a chi continua a comporre, a cantare e a comunicare il proprio messaggio, con la speranza che possa ispirare altri a fare lo stesso.
(Il libro di José Saramago che ho citato è edito da Feltrinelli, ed è stato tradotto dal portoghese da Rita Desti).
Il canto della pace di Shaden Gardood
C’è una regione, tra il sud Darfur e il nord-ovest del Kordofan, dove sopravvive una tradizione antica: qui le donne, poetesse e cantanti, custodiscono un repertorio di brani che infondono coraggio e incitano all’azione. Sono chiamate Hakamat e vivono in una terra arida, intrisa del sangue di guerre civili. Negli ultimi anni, la loro autorità indiscussa mira a veicolare canti di pace, a professare una cultura di dialogo e solidarietà.
Nel 1986, qui nasce Shaden Gardood, che incarna un principio fondamentale per ogni artista del Sudan: fare musica è una pratica inscindibile dall’attivismo, da un ruolo sociale e politico ben definito.
Così, Gardood si schiera contro la guerra, canta di giustizia e diritti umani. Lo fa addolcendo le sue canzoni nella poesia, intrecciando ritmi e melodie provenienti da Kordofan e Darfur, attingendo dal dialetto per promuovere il dialogo. Con il sorriso e gli occhi fieri è presente nei media sudanesi, ed è una ricercatrice attenta soprattutto alle tradizioni di al-Bagara e delle donne Hakamat. In tempi recenti, durante la rivoluzione sudanese che ha rovesciato il dittatore Omar Al-Bashiri, nel 2019, è in prima linea, marcia accanto ai manifestanti pacifici.
La sua musica effonde valori universali e disegna la politica contemporanea; allo stesso tempo, entra in contatto diretto con il pubblico, fratelli e sorelle: attraverso i social racconta la guerra, anche quando le esplosioni fanno tremare i vetri della sua casa di Omdurman. Qui, Shaden Gardood perde la vita, durante gli scontri tra le Forze armate sudanesi e il gruppo paramilitare delle Forze di Rapido Supporto, lo scorso maggio.
E chi pensa che la sua voce sia sopita, di certo si sbaglia.
La lotta in musica di Violeta Parra
Per lei, senza dubbio alcuno, la musica è uno strumento di lotta sociale e politica.
A nove anni, Violeta Parra imbraccia già la chitarra; poco tempo dopo, compone le prime canzoni e inizia a esibirsi nei locali pubblici. Sboccia così uno stile che vedrà splendere una delle artiste cilene più impegnate, proficue e influenti, in grado di fondere il folklore tradizionale, che è anche oggetto dei suoi studi, con la spinta al cambiamento radicale, in linea con gli ideali politici di uno stato in fermento.
Viaggia per tutto il paese, dal nord desertico ai ghiacci australi, abbraccia i conflitti sociali e politici che infiammano e dilaniano il Cile, diventando esponente di spicco della Nueva Canción Chilena. Intreccia poi la sua attività incessante con quella di altri colleghi, come Victor Jara, con cui fonda l’etichetta discografica Estampas de América.
Parra muore alcuni anni prima del colpo di Stato in Cile del 1973, eppure le sue canzoni accompagnano quei giorni di lotta, si trasformano in inni che stanano la violenza a suon di melodia, come quella sua canzone, forse la più nota, una Gracias a la vida intonata, non a caso, anche da un’altra cantautrice che ha fatto dell’impegno civile la propria missione: Joan Baez.
Le anime afgane in fuga
Del rubab ci sono tracce in poemi Sufi e testi persiani che risalgono al VII secolo. Simile al liuto, è diffuso in tre varianti nell’India settentrionale, in Tagikistan e in Afghanistan, paese di cui è strumento nazionale insieme allo zerbaghali, un taburo a calice.
Nasim Khushnawaz è un virtuoso del rubab e vive in Iran dal 1996, da quando cioè, insieme alla famiglia e ancora ragazzo, è costretto a lasciare la propria terra quando i taliban proibiscono per legge la musica.
La sua storia, discendente di una delle più importanti dinastie musicali di Herat, è quella di tante artiste e artisti che, come lui, sono costretti a un esilio che si ripete nel tempo, con corsi e ricorsi storici, e che è di nuovo è avvenuto dopo la presa di Kabul dell’agosto 2021.
La sua essenza è racchiusa nelle otto canzoni di Songs From The Pearl of Khorasan, cinque brani tradizionali di Herat e tre classici afghani.
Nella città iraniana di Mashad vivono molti esuli, così tanti da formare una vera e propria comunità culturale e musicale; il loro patrimonio è raccolto in un disco e in una serie di documentari dell’etichetta australiana Worlds Within Worlds, sotto il titolo di Afghan music in exile: Mashhad 2022. Suoni e immagini raccontano la storia di Khushnawaz e della comunità afghana trapiantata in Iran, addentrandosi nella musica classica e folk, ma anche svelando un tesoro musicale antico e inestimabile, tramandato di generazione in generazione.
Il Dispaccio di oggi finisce qui.
Se per te è la prima volta da queste parti, puoi curiosare nell’archivio dei post oppure venirmi a cercare su Instagram. Ci ritroviamo, come al solito, tra un paio di mercoledì e sarà un appuntamento speciale.
Nel frattempo, se ti va di scrivermi puoi rispondere a questa mail. Anzi, ti lancio una proposta: inviami una canzone, un saluto, una parola di speranza, ciò che preferisci e che ti fa stare bene. Lo aspetto.
A presto!
Samantha
Ciao Colombo. Sto bene. E' un piacere leggere di questi viaggi temporali tra le frequenze sonore di popoli che hanno fatto del suono un inno alla vita, alla lotta e all'amore. Per ringraziarti, posso solo inviarti il canto di un uomo di Blues, da qualche parte li, nel delta del Mississippi. Continuerò al leggerti perchè la tua ricerca, seppur nel dolore, porta alla luce spazi umani di confronto, diversamemnte da ciò che fanno oggi i media locali e internazionali. Buona Domenica.
https://youtu.be/QA8-ZOuKetU
Gioia e dolore nel leggerti oggi: per aver scoperto la voce e le sonorità di Shaden Gardood e subito dopo scoprire che lei non c'è più. Per fortuna come dici tu Samantha "la musica è una forza che supera ogni ostacolo".