È quella settimana dell’anno, così ho lasciato le chiavi dei Dispacci a Nicholas David Altea, che racconta di Sanremo e indipendenza.
Ciao !
Chi c’era, quali canzoni ricordiamo e quali abbiamo dimenticato, cosa rappresenta per una band indipendente salire sul palco dell’Ariston: cominciamo?
L’indie è irreale, il paese non si sa
di Nicholas David Altea, giornalista e social media manager per Rumore e Wired Italia
Partiamo da un assunto: tutti abbiamo utilizzato almeno una volta la parola “indie” legata alla musica in modo scorretto. Non dite no, qualche volta è successo. O fate finta di niente o mentite sapendo di mentire; oppure ho una brutta notizia per voi: la memoria inizia a farvi brutti scherzi.
Ci sarà chi l’ha pronunciata in maniera involontaria e più comoda per descrivere qualcosa che ha a che fare con un certo tipo di approccio e musica, e chi con coscienza di ciò che stava per definire pensando fosse corretta. Immaginate poi di accorpare questa parola al termine “Sanremo”: boom!

Indie a Sanremo. O meglio, indipendenti a Sanremo. Un ossimoro, un qualcosa che di base si contraddice prima ancora di essersi focalizzato nella mente quando lo si pronuncia; figuriamoci una volta materializzato sul palco dell’Ariston.
Però è successo, prima soprattutto con l’underground italiano, ma non per forza indipendente. Le major avevano già annusato che c’era del buono lì dentro, salvo poi in alcuni casi fare passi indietro o gli stessi artisti cambiare strada. Se poi parliamo di band – senza nemmeno citarle tutte – il cerchio si restringe.
Tutta questa gente sul palco col proprio strumento, ma che vogliono? E poi questi cambi palco lunghissimi, questi rocker con i capelli altrettanto lunghi, oddio. Salvate i bambini che guardano la tv. Metteteli a letto. E vabbè, Sanremo era questo all’epoca. Un mix di Comunione e Liberazione cantato con qualche lampo punk di Anna Oxa ogni tot anni.
L’underground era reale, forse
I Subsonica giunsero undicesimi nel lontano 2000 con Tutti i miei sbagli. Onesta come posizione, ma ripensando a ciò che è diventato quel brano, si capisce come la visione dell’epoca fosse totalmente anestetizzata dal cantautorato italiano e il festival, ovviamente, seguito da un pubblico che di certo a malapena ascoltava musica tendenzialmente alternativa al resto. I Bluvertigo, nel 2001, ultimi con L’assenzio, e anche qui non resta molto da dire sull’incapacità di valutazione di un brano così. Nel 2002 i Timoria di Omar Pedrini (questa volta nei Big) con Casa mia, anche loro ultimi. Nel 2005 i Velvet, band pop-rock d’ispirazione brit con Tutto da rifare, fuori dalla quindicina finale.
All’epoca eri davvero un alieno, uno visto strano, un diverso, ed MTV era quasi il punk per chi seguiva Sanremo. E queste sono tutte band più o meno con un percorso pop-rock di una certa visibilità. Ecco, tutt’altro che indie. Poi quasi il vuoto, fino a lambire gli anni Dieci.
Nel 2008 i Finley, band di ispirazione pop-punk, poi forgiati da Claudio Cecchetto (non indipendenti di certo, ma partiti dal basso come tante band pop-punk), addirittura quinti con Ricordi. I Marlene Kuntz nel 2009, fuori dalla decina finalista, portarono Canzone per un figlio. Nel 2012, i Marta sui Tubi, dodicesimi con Vorrei, calcolando anche esclusioni illustri dalla finale, forse la prima idea di indie band o quasi al festival (l’anno dopo usciranno per BMG).
Indie non è un genere
Ok, ma quella parola che tanto usiamo male che c’entra? Esiste o è esistita la “quota indie” (termine terribile, scusate)? Sì, e (anche se i nomi sono di più e cresciuti negli ultimi anni) penso che tre casi diversi, ma coerenti a loro modo, siano da ricordare, anche se è sempre meglio chiamarle band indipendenti.
Non band indie, grazie.
I Perturbazione con L’unica, nel 2014 per l’etichetta Mescal, addirittura sesti e Premio della Sala Stampa Lucio Dalla.
La Perturbazione-mania imperversa nella città di Sanremo per una settimana. Meglio tardi che mai, vien da dire, ci sono voluti più di venticinque anni perché l’Italia (una certa altra Italia) “vista dal bar” (per citare l’altro brano presentato e non scelto)1 se ne accorgesse. Loro erano e sono ancora una band chiaramente indie-pop, con qualche slancio più pop. Ma non indie-pop come si dice ora, utilizzato dai tag di Spotify in maniera criminale; indie-pop come lo intendevano i fondatori della Sarah Records, come lo intendono i Belle and Sebastian. Se poi gli stessi scozzesi, anni prima, ricondividono con piacere una versione in italiano del capolavoro Get Me Away From Here, I’m Dying, non serve altro. I Perturbazione furono davvero la rivelazione, l’unica di quell’anno.
Lo Stato Sociale nel 2018 con Una vita in vacanza.
Secondi. Un risultato enorme per la band dell’etichetta indipendente Garrincha. Sicuramente non ben visti dal mondo indipendente più oltranzista, ma all’epoca dei primi dischi presero quel suono lo-fi mescolato con l’elettropop, un certo tipo di testi in un mondo che stava cambiando senza che ce ne accorgessimo nemmeno. Il testo del brano ancora oggi alcuni non lo hanno capito, ma aveva di certo un sottotesto più “rivoluzionario” (dentro Sanremo lo era) del 90% delle canzoni di oggi che ruotano attorno all’Ariston.
Gli Zen Circus nel 2019 con L’amore è una dittatura.
Diciassettesimi, ma a loro davvero non fregava nulla di come sarebbero arrivati. Al circo di Sanremo ci hanno partecipato consci di sapere dove andavano essendo band indipendente di lunga data. La cosa bella è che la loro carriera non è stata intaccata e nemmeno accresciuta da quella presenza. Loro, che sono nati facendo punk-folk e avendo suonato davvero ovunque, non si sono nemmeno dovuti adattare. Un pezzo giusto per la partecipazione arrivata in un momento perfetto.
E ricordatevi, l’indie non è un genere.
Se ti occupi di musica non puoi prescindere da Sanremo, e ancor di più se hai una vaga inclinazione verso l’antropologia culturale. Da un lato, la rabdomanzia sonora spesso intercetta realtà interessanti anche nella più istituzionalizzata delle manifestazioni musicali, dall’altro — per quanto lo sconforto sia sempre in agguato — è bene tenersi aggiornati su quanto accade fuori dalle nostre personali bolle.
Grazie alla super-penna di Altea che, come lo scorso anno, ha fatto tornare i Dispacci al Festival prima di fiondarsi a Sanremo da inviato!
Avrei anche una curiosità:
Qual è la canzone più fuori dagli schemi che ricordi a Sanremo?
Come sempre, scrivilo nei commenti.
Stai bene, e grazie!
Samantha
Il brano è L’Italia vista dal bar dei Perturbazione.
Io ho un ricordo fissato nella testa: i Quintorigo, che nel 1999 con "Rospo" parteciparono nella sezione Giovani.
✈️