La speranza si conquista con fatica, talvolta appare impraticabile, raramente l’ho sentita così intensa come in Serbia.
Ciao !
Non è una posizione neutrale, la speranza, come ha scritto Nick Cave: richiede attenzione e impegno, è un atto di fiducia verso il futuro e nei confronti di chi ci sta accanto. Eppure è la base più solida per trasformare idee e aspirazioni in vita reale, per costruire, giorno dopo giorno, un futuro migliore.
Nel tempo trascorso tra Belgrado e Novi Sad, la speranza si è presentata in tutta la sua forza luminosa, aveva volti, suoni e voci. Oggi, te li racconto qui.
Con ogni parola, con ogni nota
È una giornata di sole a Belgrado. Ho lasciato Novi Sad da un paio d’ore ed eccomi già davanti alla sede della RTS, la radiotelevisione di Stato serba. Qui, dal 14 aprile, c’è un presidio delle facoltà in protesta: studenti e studentesse accusano gli organi d’informazione statali di essere un megafono della propaganda governativa, ignorando blokade, manifestazioni pubbliche e in generale ogni forma di protesta, quelle per le strade della capitale, quelle nelle periferie, persino quelle che sono arrivate nel cuore dell’Europa, pedalando fino a Strasburgo, e che, quel giorno, sono in marcia verso Bruxelles.
Chi manifesta ha una richiesta precisa: o si spegne del tutto il network, o si avvia una riforma del REM, l’ente preposto alla regolamentazione dei media elettronici in Serbia. Oggetto di critiche in merito alla sua reale trasparenza, all’ultimo bando di concorso diversi candidati indipendenti si sono ritirati per la mancanza di garanzie in merito.
Sebbene quello davanti alla RTS sia un assedio pacifico, costringe l’emittente a modificare i palinsesti — «Non riescono più a mandare in onda un notiziario!», mi racconta chi vive lì — e attira il sostegno di un numero crescente di persone.
Sono voci e risate ad animare il silenzio tiepido del luogo, le auto non passano poiché le strade sono bloccate dai cassonetti, la gente arriva a piedi e in bicicletta. La facciata del palazzo è ingombra di striscioni; noto subito quel “Jaaoo…” diventato virale e protagonista della canzone Buđenje RTS-a (JAO) di SevdahBABY, quando uno speaker della radio ha stracciato in diretta un comunicato del governo.
Tra le bancarelle degli studenti che vendono spillette, adesivi e magliette per finanziarsi, spunta anche lo stand di uno zbor, un’assemblea civica nata sulla falsariga di quelle studentesche, si incrociano alcuni veterani. Anche sul retro della sede compaiono tende e bancarelle, qualcuno ha persino improvvisato altalene e giochi per intrattenere bambine e bambini.
Più che un assedio sembra una festa pacifica, un camping urbano immerso nei colori.
Il pomeriggio di quel giorno, è il 28 aprile, c’è però attesa per un appuntamento importante: la Commissione Cultura e Informazione si riunisce in una sessione turbolenta; alla fine tutti i presenti votano per annullare il contestato bando REM e avviare una nuova selezione.
L’annuncio sui social studenteschi è netto: «È stato indetto un nuovo concorso per il Consiglio REM. Con ciò, il blocco RTS è finito, dopo 14 giorni». Si tende comunque a precisare che «La battaglia è vinta, ma la guerra continua». Si parla di vittoria, ci si abbraccia: le conseguenze sono incerte, le riflessioni molte, ma oggi, almeno, c’è spazio per il sollievo e la speranza.

La sera, in occasione di un evento nel cortile del V. Beogradska Gimnazija, storico liceo a pochi passi da RTS, un concerto si trasforma in una celebrazione.
L’ingresso prevede un’offerta simbolica, chiunque può donare quanto desidera, e il ricavato è destinato a sostenere i professori della scuola, senza stipendio per aver aderito allo sciopero contro le nomine imposte dal Ministero. Prima di varcare il cancello ancora non lo sospetto nemmeno, eppure la line up non ha nulla da invidiare ai migliori festival underground.
Il cortile si riempie di centinaia di persone: ci sono liceali che conoscono tutte le canzoni a memoria, famiglie del quartiere, persone anziane che non hanno intenzione di perdersi lo spettacolo, gente straniera calamitata lì dall’entusiasmo.
Sul palco compaiono due band di punta della scena belgradese, che bazzicano anche nei festival europei, affiliati al collettivo Hali Gali, attivo tanto nella scena alternativa della città quanto nell’impegno civile.
I musicisti sono sempre stati parte integrante di ogni cambiamento, e noi svolgiamo il nostro dovere nell’unico modo che possiamo: facendo musica e sostenendo.
Hali Gali
Le due band sono Gazorpazorp e KOIKOI, e mi domando perché non le abbia mai intercettate dal vivo prima: tra muri di chitarre dei primi e intrecci psichedelici dei secondi, entrambe sono accomunate da un profondo magnetismo, da un muro sonoro inscalfibile, da un donarsi al proprio pubblico senza remore.
Accanto a loro, sono protagoniste giovani band studentesche che lasciano chiunque senza fiato: cantano in serbo, divorano il palco, farebbero scomparire realtà blasonate che hanno smarrito l’energia chissà dove, forse in qualche anfratto.
A quanto ho capito però a Belgrado l’energia non si disperde, è nell’aria, resta attaccata ai muri: così nascono il post-punk degli Antistil, il post-core degli Cvat, lo Stojadin-core1 degli Zastava 101.
Dalle canzoni intonate sui gradini della tv occupata per arrivare ai decibel ribelli della sera, ancora una volta la musica guida la protesta e sottolinea qualcosa in più della rivendicazione politica: il ruolo della collettività, un’impronta che resta nei ricordi di chi c’era e che traccia la strada per il domani.
Tra palco e pubblico non c’è distanza, poiché l’obiettivo è uno: costruire un futuro diverso, senza tacere le proprie idee, senza scappare da un paese. E se davvero si realizzerà il profondo cambiamento auspicato e cercato, sarà merito anche di queste canzoni, del loro echeggiare nella notte di Belgrado.
A pochi passi da qui, mentre gli striscioni sono stati tolti dalle finestre e le blokade smantellate dalle strade, l’energia non si dissolve.
Dopo il concerto, attraversando le strade della città, torna quel dettaglio che mi colpirà anche nei giorni successivi, e che non sono la sola a notare: «A Belgrado le persone si baciano spesso per strada!»; sono gesti spontanei e repentini, quasi a voler condividere nello spazio pubblico l’entusiasmo di essere vivi. Forse è una coincidenza o forse è proprio lo spirito di questo momento speciale, ma nel cuore di una protesta che unisce generazioni diverse, anche un bacio sul marciapiede diventa un gesto di libertà.

Così camminiamo fin davanti alla casa di Slavko Ćuruvija, giornalista oppositore di Slobodan Milošević, assassinato con un colpo alla schiena nell’androne del suo palazzo, a fine anni Novanta. C’è una Fondazione a suo nome, che ogni giorno si occupa di tutelare la libertà di stampa e i diritti umani, perché la libertà, come la speranza, ha bisogno di costante impegno e cura, e perché anche i diritti rischiano di sgretolarsi.
Tra le persone che si fermano di fronte alla targa dedicata a Ćuruvija c’è Sandro. I capelli sono molto più bianchi di quando ha attraversato la Jugoslavia in Mini per un rocambolesco Milano-Istanbul, qui ci è venuto in vacanza, eppure sul suo smanicato rosso brilla una spilletta degli studenti, il segno distintivo di chi ha scelto da che parte stare. Perché c’è qualcosa che ci accomuna tutte e tutti, senza pensare all’età, al luogo in cui nasciamo o viviamo, a chi preghiamo, se decidiamo di farlo, a chi amiamo: al fatto che siamo tasselli di un futuro ancora da scrivere, e che il mondo si cambia, per davvero, con un’idea, un gesto, un passo alla volta. Se lo facciamo insieme.
Su WIRED Italia puoi trovare alcuni miei articoli sulle proteste in Serbia.
Prima di salutarci, un doppio annuncio!
Insieme a Bojan Mitrović — storico, mediatore culturale e autore del graphic essay Ecocalypse — parleremo di Serbia in due incontri cui entrambi teniamo particolarmente:
✔️ Voci dalla Serbia, al di Busto Arsizio (VA), il 23 maggio alle 21.00 (ingresso gratuito, riservato ai soci Arci)
✔️ Presentazione di Ecocalypse, con un excursus sulle proteste studentesche in Serbia, da a Milano, il 24 maggio alle 19.00 (ingresso libero)
Postilla: il titolo di questo Dispaccio è un omaggio alla raccolta di short stories Serbia hardcore di Dušan Veličković, tradotto in italiano da Sergej Roic (Zandonai, 2008).
A presto, stai bene.
Samantha
Stojadin è il soprannome della Zastava 101, un’auto prodotta in Jugoslavia dai primi anni Settanta, e da cui prende il nome la band. Deriva dalla pronuncia del numero 101 in serbo (sto jedan), che suona simile a “stojadin”, in italiano “che resiste”.
La definizione “Stojadin-core” è utilizzata, anche con ironia, per descrivere un genere che fonde influenze post-punk e underground a riferimenti alla ex-Jugoslavia.
Grazie Samantha per questa bella ondata di energia! Fresca e pulita.. ho un amico musicista in Serbia e sono sicura che era lì a condividere la cura e l’amore per la libertà .